RESPONSABILITÀ SANITARIA E COVID-19: SCENARI DI UNA POSSIBILE PANDEMIA GIUDIZIARIA E RISPOSTE PER PREVENIRLA

RESPONSABILITÀ SANITARIA E COVID-19: SCENARI DI UNA POSSIBILE PANDEMIA GIUDIZIARIA E RISPOSTE PER PREVENIRLA

 

Umberto Izzo
Associato di Diritto privato nell’Università di Trento

 

Sommario: 1. Premessa; 2. Un déjà-vu per impostare la riflessione: la vicenda del sangue infetto quale modello della responsabilità civile di Stato e Regioni per l’inadeguata gestione precauzionale dell’emergenza sanitaria da COVID-19; 3. Responsabilità sanitaria e COVID: le prime riflessioni; 4. Lo «scudo normativo»: cenni alle proposte legislative emergenziali accantonate; 5. Il probabile assetto del contenzioso giudiziario post emergenza sanitaria da COVID, nel riparto di competenze Stato-regioni per la tutela della salute pubblica di fronte a catastrofi sanitarie indotte da pandemie influenzali; 5.1. Tutela della salute e prevenzione delle epidemie: il quadro istituzionale e le misure amministrative previste allo scopo; 5.2. Il «caso Lombardia», fra dettagliati piani pandemici regionali dimenticati e agenzie regionali per l’emergenza/urgenza poi ridimensionate; 6. La responsabilità civile dello Stato e delle regioni per la gestione sanitaria dell’emergenza pandemica: come e perché scongiurare l’avvio di una nuova, indesiderabile saga giudiziaria sul calco della vicenda del sangue infetto.

1.PREMESSA

Questo saggio è stato impostato quando il lockdown vissuto fra marzo e maggio 2020 volgeva al termine, in sincopata preparazione del webinar «I rapporti giuridici al tempo del Covid-19» svoltosi il 29 maggio 2020 nell’ambito del Dottorato di ricerca in Scienze giuridiche dell’Università di Cagliari. Il testo che segue integra e aggiorna quella traccia iniziale[1], restando anche oggi l’embrione di una riflessione su un problema che auspicabilmente troverà modo di essere sviluppata in modo più compiuto in futuro.

 

2. UN DÉJÀ-VU PER IMPOSTARE LA RIFLESSIONE: LA VICENDA DEL SANGUE INFETTO QUALE MODELLO DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE DI STATO E REGIONI PER L’INADEGUATA GESTIONE PRECAUZIONALE DELL’EMERGENZA SANITARIA DA COVID-19

Di fronte all’emergenza determinata dall’impatto di un virus come il COVID-19 sul nostro sistema sanitario e alle conseguenze giudiziarie che le modalità con le quali è stata gestita l’emergenza potrebbero manifestare negli anni a venire[2], si avverte una singolare sensazione, che tende ad assumere i contorni di un déjà-vu straordinariamente nitido. Correva l’anno 1995 e chi scrive partecipava a un progetto di ricerca internazionale che si proponeva di verificare in una prospettiva comparativa e interdisciplinare l’impatto che il virus HIV aveva prodotto in tutto il mondo sui sistemi sanitari e sui sistemi giuridici dei Paesi industrializzati chiamati a fare i conti con accadimenti che in Italia fonti giornalistiche si sono spinte a definire una «epidemia di Stato»[3], che i più, però, ricordano evocando l’espressione «scandalo del sangue infetto»[4].

All’epoca in Italia si aveva sicura contezza mediatica che nel decennio appena trascorso si fosse determinata una situazione grave, legata soprattutto al contagio da HIV verificatosi per via ematica principalmente negli anni Ottanta, ma sul tema non era ancora stata elaborata alcuna ricerca specifica né sul piano istituzionale, né su quello scientifico, mentre mancava qualsiasi precedente giurisprudenziale edito che in ambito giudiziario avesse cominciato a fare luce sull’accaduto. Il compito di elaborare il rapporto nazionale italiano del progetto andava svolto in un’epoca nella quale internet iniziava timidamente ad apparire sulla scena, e le ricerche documentali dovevano ancora essere svolte in presenza, frequentando archivi polverosi e abbronzandosi alla luce delle fotocopiatrici[5].

Oggi possiamo dire di sapere come è finita quella storia, perché da essa è esitata una verità processuale autorevolmente convalidata dalla nostra giurisprudenza di legittimità. Il primo pronunciamento di una corte di merito italiana in risposta a un’azione risarcitoria promossa nel 1993 da un gruppo di vittime del contagio di massa per via ematica si ebbe nel novembre 1998, grazie a una procedura improvvisamente accelerata con la richiesta di una pronuncia solo sull’an della responsabilità dello Stato (per effetto di una sentenza della CEDU intervenuta nel 1996[6])[7], ma l’ultima parola in quel contenzioso, che ne ha definito i contorni applicativi sulla base di assetti assai discutibili, ha dovuto attendere gli arresti depositati dalle sezioni unite della Cassazione nel 2008[8].

Nel mentre e ancora oggi mentre si scrive, migliaia di cause sono germinate in ogni distretto giudiziario italico. Nessuno si è finora fatto carico di censire il numero preciso di casi, nemmeno l’avvocatura dello Stato, che in quel contenzioso ha assunto serialmente il compito di difendere il convenuto. Cumulativamente, la vicenda ha originato una marea dilagante di cause, che hanno dato lavoro e continuano ancora oggi a dar lavoro a migliaia di avvocati italici, imp(r)egnando i ruoli di centinaia di giudici di merito sul territorio[9].

Nel merito, protagonista di quell’emergenza era stato un virus inizialmente in-identificabile e a lungo tempo in-contrastabile, potenzialmente letale (non diversamente dal COVID), che aveva però la particolarità di essere veicolato da un canale di contagio assai specifico: principalmente il sangue e i suoi derivati (con la necessità di discernere se la fonte del contagio fosse stata quella – alternativa alla via iatrogena – dei rapporti sessuali o dell’uso di iniezioni promiscue per l’inoculazione di sostanze psicotrope in via endovenosa). La circostanza non eliminava certo i problemi causali, legati alla necessità di dimostrare processualmente il nesso di causalità materiale fra l’insorgere del virus (con le sue conseguenze dannose) e la fonte del contagio, ma, in qualche modo, ne semplificava l’indagine, che poteva muovere presuntivamente dall’accertamento di un episodio di somministrazione di sangue o di suoi derivati alla vittima, corretto dalla verifica processuale del mancato accertamento di cause di contagio alternative.

Quali danni, poi, venivano in rilievo in quel contenzioso?

Un danno alla persona del soggetto contagiato rappresentato dalla mera positività al virus trasmissibile per via ematica, certo, il quale aveva la caratteristica di poter evolvere in un danno lungolatente, fino a un possibile esito mortale, e che in molte circostanze poteva estendersi alla soggettività del coniuge o partner cui l’inconsapevole vittima della trasfusione avesse trasmesso il virus per via sessuale. Un danno alla persona con le sue proiezioni extrapatrimoniali e patrimoniali, da accertarsi caso per caso, così come i danni riflessi, che dalla persona contagiata si estendevano a considerare la posizione delle vittime di rimbalzo del virus, danneggiate dalla grave patologia o dal decesso che avesse colpito la persona contagiata, in presenza di un legame parentale o affettivo con quest’ultima suscettibile di fondare una pretesa risarcitoria iure proprio.

Quali, invece, i legittimati passivi della pretesa risarcitoria promuovibile da quanti lamentavano di aver contratto un virus veicolato dal sangue o dai suoi derivati in occasione di un intervento terapeutico salvavita o comunque avente una salvifica finalità terapeutica (la trasfusione di sangue o la somministrazione di emoderivati)?

In un primo tempo – quello delle speculazioni e delle congetture, non diverso da quello che viviamo oggi con riferimento al COVID – venne naturale ipotizzare che i legittimati passivi avrebbero potuto essere: 1) i produttori di emoderivati, rivelatisi veicolo di virus e distribuiti a titolo oneroso (a caro prezzo) al nostro SSN per i trattamenti terapeutici e salvavita garantiti dal nostro sistema sanitario a emofilici e ad altri pazienti cronici; 2) le Asl e i medici dipendenti responsabili dei centri trasfusionali che avevano curato la preparazione delle sacche di sangue o plasma rese non immuni dai virus del donatore; 3) le Asl, le strutture sanitarie private e i medici dipendenti responsabili della scelta di trasfondere il sangue, veicolante il rischio di trasmettere il virus, con una decisione non adeguatamente ponderata (nel dilemma se non apportare al paziente una terapia salvavita immediata o esporlo al rischio di un contagio lungolatente).

Un quarto di secolo dopo conosciamo tutti i dettagli di questa storia, per come essa si è evoluta nelle nostre aule di giustizia. Nessuna multinazionale farmaceutica straniera o gruppo farmaceutico italiano ha mai (non già subito una sentenza di condanna a risarcire le vittime del contagio occorso in conseguenza di somministrazione di emoderivati, ma) assunto le vesti di convenuto in un giudizio civile promosso da una vittima del contagio[10]. Del tutto episodicamente è stato condannato un singolo medico dipendente responsabile di un centro trasfusionale o di una scelta terapeutica esponente il paziente al rischio veicolato dal sangue ricevuto. Un numero certamente più consistente di Asl è stato chiamato a risarcire vittime di sangue infetto ricevuto per effetto di trasfusioni di sangue preparato presso il centro trasfusionale della struttura in questione. Ma il ruolo più oneroso – nell’alimentare l’ingentissimo flusso risarcitorio seguito al contenzioso innescato da un contagio iatrogeno di massa – è toccato al Ministero della Sanità.

Indefettibile convenuto in questa tracimante marea di liti è stato, infatti, il Ministero emovigilante cui, in conseguenza di un addebito di responsabilità extracontrattuale fondato sulla semplice colpa omissiva, è stato rimproverato con successo di non aver posto in essere una serie complessa di atti di natura regolativa, che, se attuati per tempo, avrebbero impedito con sufficienti margini di certezza il prodursi del contagio di massa.

Leva necessaria del ragionamento che ha legittimato il concretizzarsi dell’addebito di colpa omissiva posto a carico del ministero della Sanità è stata una congerie di norme sedimentatasi in un arco di tempo assai ampio, che i giudici di legittimità hanno ritenuto capaci di esprimere in misura sufficientemente specifica quel coefficiente di obbligatorietà necessario a postulare l’accertamento della colpa omissiva. Una colpa messa in relazione a una massa di singoli eventi dannosi scaturenti da episodi di contagio relativi a virus veicolati per via ematica, aventi, però, diversa natura e origine (dal virus dell’HIV ai vari virus dell’epatite, tutti individuati e resi concretamente contrastabili dall’evoluzione del sapere e della tecnologia medica in tempi assai diversi).

Richiamiamo alla mente cosa bastò alla sentenza 581/2008 delle sezioni unite della Cassazione, depositata l’11 novembre 2008, per ritenere che il Ministero della Sanità fosse investito, prima del verificarsi degli episodi di contagio innescanti le pretese risarcitorie dei singoli danneggiati, del dovere di neutralizzare le varie minacce virali alla provvista del sangue e dei suoi derivati raccolta e distribuita dal sistema sanitario nazionale, che, se violato, avrebbe potuto concretizzare la responsabilità dello Stato, come in effetti fu sancito in quell’arresto:

«La L. n. 592/1967, (art. 1) attribuisce al Ministero le direttive tecniche per l’organizzazione, il funzionamento ed il coordinamento dei servizi inerenti alla raccolta, preparazione, conservazione, e distribuzione del sangue umano per uso trasfusionale, alla preparazione dei suoi derivati e ne esercita la vigilanza, nonché (art. 21) il compito di autorizzare l’importazione e l’esportazione di sangue umano e dei suoi derivati per uso terapeutico.
Il d.p.r. n. 1256/1971 contiene norme di dettaglio che confermano nel Ministero la funzione di controllo e vigilanza in materia (artt. 2,3, 103, 112).
La legge n. 519/1973 attribuisce all’Istituto superiore di sanità compiti attivi a tutela della salute pubblica.
La legge 23.12.1978, n. 833, che ha istituito il Servizio sanitario Nazionale conserva al Ministero della Sanità, oltre al ruolo primario nella programmazione del piano sanitario nazionale ed a compiti di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali delegate in materia sanitaria, importanti funzioni in materia di produzione, sperimentazione e commercio dei prodotti farmaceutici e degli emoderivati (art. 6 lett. b, c), mentre l’art. 4, n. 6, conferma che la raccolta, il frazionamento e la distribuzione del sangue umano costituiscono materia di interesse nazionale.
Il d.l. n. 443 del 1987 stabilisce la sottoposizione dei medicinali alla c.d. “farmacosorveglianza” da parte del Ministero della Sanità, che può stabilire le modalità di esecuzione del monitoraggio sui farmaci a rischio ed emettere provvedimenti cautelari sui prodotti in commercio.
Ne consegue che, anche prima dell’entrata in vigore della legge 4.5.1990, n. 107, contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati, deve ritenersi che sussistesse in materia, sulla base della legislazione vigente, un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di sangue umano da parte del Ministero della sanità, anche strumentale alla funzione di programmazione e coordinamento in materia sanitaria. L’omissione da parte del Ministero di attività funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l’ordinamento attribuisce il potere (qui concernente la tutela della salute pubblica) lo espone a responsabilità extracontrattuale, quando, come nella fattispecie, dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell’interesse pubblico, il quale è strumentale ed accessorio a quel potere, siano derivate violazioni dei diritti soggettivi dei terzi».[11]

Quando da una serie di norme di carattere legislativo succedutesi nel tempo è possibile ricavare l’ascrizione di compiti di vigilanza e controllo ad un’articolazione dello Stato che, di conseguenza, è sottoposta all’obbligo di sorvegliare e proteggere la salute pubblica e individuale con riferimento ad attività implicanti il rischio che la salute pubblica e individuale sia compromessa – hanno statuito le S.U. – viene integrato quel coefficiente di vincolatività che costituisce il presupposto per convalidare un addebito di responsabilità omissiva che, se riscontrato, può indurre ad imputare civilmente a quell’articolazione dello Stato i danni seguiti al doveroso comportamento omesso.

La stessa sentenza di legittimità che ricordiamo fece seguire alla sommaria ricognizione normativa appena vista – istitutiva del generalissimo dovere istituzionale di esercitare il controllo, porre direttive e attuare la vigilanza sul sistema di approvvigionamento del sangue e dei suoi derivati nel nostro Paese, investendo nel compito risorse adeguate – una lunga, articolata e dotta disquisizione in punto di accertamento della causalità omissiva in sede civile. Nel suo svolgimento, però, mancò ogni tentativo di individuare in concreto una condotta connotata da un qualche gradiente di specificità, suscettibile di spiegare sul piano scientifico in che modo e con quali margini di effettività, se quella condotta non fosse stata omessa da parte del Ministero, il prodursi del contagio di massa sarebbe stato evitato, anche seguendo lo standard «del più probabile che non» accolto nel ragionamento causale accreditato dalla Corte. Senza contare che quella valutazione non avrebbe dovuto esimersi dal considerare le conseguenze che l’adozione delle misure omesse avrebbe avuto, all’epoca in cui esse avrebbero dovuto essere assunte, sulla provvista di sangue ed emoderivati richiesta per garantire la funzione salvavita che il sangue e i suoi derivati assolvono per i loro destinatari.

Le S.U. civili ritennero di poter fare a meno di fondare il ragionamento seguito in quella sede sull’opinione processualmente validata di esperti muniti di adeguato pedigree scientifico, che, ripercorrendo analiticamente la storia relativa alla diffusione dei vari virus protagonisti dei casi di contagio oggetto del contenzioso di massa, dessero rilievo concreto (e mondato da hindsight bias) alle incertezze e alle difficoltà che tipicamente (ce ne siamo accorti in questi mesi) precedono il momento in cui la ricerca scientifica fuga ipotesi e congetture e identifica un metodo convalidato per individuare e contrastare efficacemente una minaccia virale, valutando, per esempio, cosa sarebbe successo se, nello stato di incertezza che segue l’insorgere di una minaccia virale che non appare concretamente neutralizzabile, si fosse decretata la sospensione della provvista di sangue ed emoderivati distribuiti dal SSN.

In altre parole, in quella sede, malgrado fosse stato in astratto evocato, mancò clamorosamente da parte degli Ermellini la ponderata identificazione del famoso enunciato controfattuale, necessario per asseverare in concreto, in relazione ai gravissimi fatti su cui quella sentenza prendeva posizione, la causalità nell’omissione, ossia l’azione doverosa e imposta (anche perché realisticamente possibile), che, se effettuata, avrebbe evitato, secondo il parametro del più probabile che non, gli eventi di contagio.

Dopo un lungo periodare nel quale le S.U., destreggiandosi fra citazioni di Bacon e Pascal, tributarono omaggio all’idea che in sede civile, come noto, il benchmark richiesto per ritenere valida la derivazione di un evento da un antecedente causale può essere notevolmente meno intenso di quanto debba avvenire in sede penale, la Corte venne al sodo. E volle scartare per partito preso l’idea che i virus dell’HIV, HBV, HCV avessero, come un qualsiasi virologo alle prime armi (anche allora) sarebbe stato pronto a testimoniare, una eziologia autonoma e distinta e producessero ciascuno conseguenze radicalmente diverse in termini di manifestazioni fisiologiche e di decorso patologico nell’organismo dei pazienti. Tagliando corto, la Corte ingaggiò un confronto assai aggressivo – si direbbe quasi una colluttazione – con la c.d. sound science e chiosò che, in relazione ai virus dell’epatite B (anno di prima descrizione: 1969; anno di individuazione e commercializzazione dei mezzi per identificarlo efficacemente nella provvista di sangue: 1978), dell’HIV (anno di prima descrizione: 1984; anno di individuazione e commercializzazione dei mezzi per identificarlo efficacemente nella provvista di sangue: 1985), dell’HCV (anno di prima descrizione: 1988; anno di individuazione e commercializzazione dei mezzi per identificarlo efficacemente nella provvista di sangue: 1989/90):

non sussistono tre eventi lesivi, come se si trattasse di tre serie causali autonome ed indipendenti, ma un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica (essenzialmente del fegato), per cui unico è il nesso causale: trasfusione con sangue infetto – contagio infettivo – lesione dell’integrità. Pertanto già a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B (la cui individuazione, costituendo un accertamento fattuale, rientra nell’esclusiva competenza del giudice di merito) sussiste la responsabilità del Ministero anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto, che il Ministero non aveva controllato, come pure era obbligato per legge”.[12]

Invece di partire dall’agente causale del danno (messo in relazione alla possibilità scientifica di prevenirne l’insorgere), ovvero il virus, la Corte sovvertì ogni basilare canone scientifico sotteso alla valutazione giuridica che operava. E fece discendere l’accertamento della causalità nell’omissione colpevole da una uniforme localizzazione della lesione all’integrità del fegato, eletta a punto di riferimento del giudizio causale. Una lesione che venne apoditticamente ritenuta comune a tutte le tipologie di virus implicate nella fattispecie «contagio da sangue infetto».

Ci volle davvero «fegato» per far discendere da questo fragilissimo ragionamento, davvero sorprendente per il più alto consesso di un organo giurisdizionale di un Paese nel quale (sulla carta) scienza e diritto dovrebbero rispettarsi vicendevolmente, una conseguenza pratica di enorme rilievo per i contribuenti italiani.

Perché, a seguito di quelle scarne righe di motivazione e in conseguenza dell’adozione della teoria del limite mobile per individuare il dies a quo della prescrizione delle azioni risarcitorie dei soggetti contagiati[13], dal 2008 in poi l’erario statale è stato chiamato a reperire le risorse necessarie a risarcire invariabilmente e integralmente tutte le conseguenze lesive determinate da contagio dei virus dell’HBV, HCV e HIV conseguenti a episodi di trasfusione o a somministrazione di emoderivati occorsi in Italia dopo il 1965 (anno durante il quale per la prima volta si identificò l’antigene Australia, rivelatore assai poco preciso della presenza del virus HBV nel sangue, il quale giunse ad essere descritto al microscopio elettronico solo nel 1979, per essere sequenziato nel corso degli anni ‘80), anno in cui si cominciò a postulare la possibilità di impiegare una modalità assai poco precisa (e perciò suscettibile di implicare molti falsi positivi, con nefasti effetti sull’approvvigionamento di sangue da usare terapeuticamente) per individuare nella provvista dai sistemi sangue nazionali le sacche ematiche provenienti da donatori portatori del primo virus suscettibile di aggredire, nell’inaudita approssimazione scientifica avallata dai nostri giudici di legittimità, il «fegato» del soggetto trasfuso o sottoposto a terapia con emoderivati[14].

Il déjà-vu sta per terminare, e fra poco tireremo le fila di questo flash-back ispirato dal nostro recente passato giurisprudenziale, per portarci finalmente all’oggi, drammaticamente evocato nel titolo di questo scritto. Prima, però, va ricordato come la vicenda dei virus veicolati dal sangue non abbia mancato di determinare una seconda risposta da parte dello Stato, su cui potremo soffermarci più distesamente a tempo debito. Basti per ora evocare la sigla legislativa di quella risposta: la legge 210/1992, con la quale si stabilì l’erogazione di un indennizzo a favore delle vittime di complicanze irreversibili determinate – inter alia – da trasfusione di sangue o da somministrazione di emoderivati. Per effetto di una poco consapevole meditazione del legislatore del 1992, fu solo nel 2008 che la Cassazione a S.U. giunse faticosamente a stabilire una regola pratica di coordinamento, nel segno della necessità dello scomputo, fra l’erogazione di questo beneficio da parte dello Stato per il tramite delle Regioni e l’eventuale risarcimento integrale dovuto dallo Stato al beneficiario per effetto della giurisprudenza che poc’anzi è stata ricordata.

Il déjà-vu, dunque, saldandosi all’oggi, racconta – quindi – di virus potenzialmente letali apparsi all’improvviso nella nostra storia recente; di periodi più o meno lunghi nei quali, in relazione alla possibilità di contrastare una nuova minaccia vitale, la scienza ha attraversato periodi di incertezza; di contagi e danni che ne sono seguiti, con platee massive e difficilmente quantificabili di potenziali danneggiati. Per quel che più conta, questo flash-back dimostra come di fronte a una minaccia virale incontrastabile siano possibili (e possano essere ritenute giuridicamente esigibili, nell’attribuire la responsabilità civile per i danni occorsi dopo che un virus non debellabile è apparso all’orizzonte) una serie di azioni precauzionali che, se assunte tempestivamente, avrebbero limitato la diffusione del virus e del suo potenziale dannoso.

Sotto il profilo della imputazione di questi danni ex post per il tramite della responsabilità civile, il flash-back parla del tutto episodicamente di responsabilità dell’operatore medico professionale; parla un po’ meno marginalmente di responsabilità delle strutture sanitarie (principalmente pubbliche e quindi processualmente impersonate da ASL, con eventuali soccombenze messe in capo all’erario regionale e, in ultima analisi, poste anch’esse a carico delle dissestate casse dello Stato). E parla invece moltissimo, in una misura assolutamente soverchiante sul piano quantitativo, della responsabilità omissiva dello Stato, forgiata dal richiamo agli obblighi istituzionali che quest’ultimo deve assolvere per dare effettività all’art. 32 Cost., con l’identificazione di una serie di norme di legge ordinaria che tali obblighi si era preoccupata di ribadire e specificare nel tempo, con riferimento alla necessità di contrastare – ancorché a un livello rimasto generico e non puntualmente definito rispetto al cosa fare nello specifico per evitare il danno conseguente a ciascuna tipologia di contagio virale – il pericolo che una minaccia letale veicolata dal sangue poteva rappresentare per la salute degli assistiti del SSN.

3. RESPONSABILITÀ SANITARIA E COVID: PRIME RIFLESSIONI

Prima di passare in rassegna le analisi fin qui compiute nella nostra civilistica sul possibile contenzioso risarcitorio post COVID mette conto sottolineare tre dati.

Il primo. La possibile pandemia giudiziaria da contagio di COVID, se prenderà corpo, sarà verosimilmente caratterizzata geograficamente sul piano giurisdizionale, rispecchiando la non uniforme distribuzione territoriale dei casi e dei decessi dovuti al virus in Italia. Anche mettendo a confronto i dati relativi alla distribuzione di casi di positività al COVID e i decessi risalenti al periodo in cui cessava il lockdown (27 maggio 2020) con i più aggiornati dati disponibili mentre si licenzia questo scritto (15 settembre 2020), la caratterizzazione geografica dei decessi determinati dalla malattia resta sostanzialmente invariata (fonte delle tabelle: http://www.salute.gov.it/).

(tables in the original article)

A fine maggio 2020, su un totale di poco più di 33.000 vittime, si contavano quasi 24.000 morti fra Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte e circa 9.000 decessi distribuiti, con diversità geografiche piuttosto marcate, tra le altre regioni e province autonome d’Italia. La Lombardia, con quasi 16.000 morti da sola, contava per quasi la metà delle vittime nazionali. Quanto ai ricoverati con sintomi al 27 maggio 2020 la proporzione non mutava granché: su un totale di più di 8.200 pazienti abbisognanti di cure ospedaliere per sopravvivere al COVID (fra ricoverati e pazienti in terapia intensiva), più di 3.800 erano concentrati in Lombardia, quasi 1.200 in Piemonte, tallonato dal Lazio con più di 1.100 casi, e più di 550 pazienti in Emilia Romagna.

A metà settembre 2020, su un totale di oltre 35.600 vittime in Italia, si contano circa 25.500 morti fra Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte e poco più di 10.000 decessi sempre distribuiti tra le altre regioni e province autonome d’Italia. La Lombardia con quasi 17.000 morti annovera quasi la metà delle vittime determinate dal COVID in Italia. Sul versante dei ricoverati con sintomi i numeri e le relative distribuzioni regionali si riducono e cambiano notevolmente rispetto a maggio. Su un totale di più di 2.300 pazienti che abbisognano di cure ospedaliere per sopravvivere al COVID in Italia, più di 400 sono localizzati nel Lazio, più di 300 in Campania, quasi 300 in Lombardia, e poi si hanno, con cluster di pazienti via via più contenuti, nell’ordine: Puglia, Emilia Romagna, Sicilia, Liguria e le altre regioni e province autonome.

Questi dati, purtroppo, continueranno a crescere e forse a cambiare dislocazione territoriale, ma – salvo recrudescenze epidemiologiche che a tutt’oggi non possono essere escluse – essi sembrano indicare la possibilità di confermare la previsione che il contenzioso risarcitorio da COVID, per lo meno quello legato alla prima improvvisa ondata pandemica, se ci sarà, avrà una forte caratterizzazione regionale.

Il secondo dato su cui riflettere è anch’esso offerto dai numeri epidemiologici che ci siamo abituati a compulsare quasi quotidianamente, percorsi da un insopprimibile senso di inquietudine[15].

Mettere a confronto i numeri della mortalità da COVID esibiti dall’Italia con quelli di Paesi europei dotati di sistemi sanitari di livello comparabile al nostro, pur con tutta l’approssimazione di questo rilievo e tenendo conto che l’Italia è stato uno dei primi Paesi europei ad essere attinto da focolai di contagio dopo l’originario epicentro epidemiologico di Wuhan, restituisce un dato che, se non altro, legittima il sorgere di dubbi che si candidano ad essere oggetto di analisi che dovranno essere approfondite.

Il 18 maggio 2020, giorno che i libri di storia ricorderanno come la data in cui in Italia ebbe termine il lockdown cominciato il 9 marzo 2020, in tutto il mondo si contavano 326.867 decessi determinati da COVID. Quel giorno in Italia si contavano 32.093 morti, pari a poco meno del 10% del totale mondiale. Lo stesso giorno in Cina i morti erano 4.634. In Germania, colpita anch’essa da focolai anticipati del virus, si contavano 8.123 morti. In Francia erano 28.214. In Spagna 27.343. Nel mondo solo negli USA e in UK il numero dei decessi sopravanzava quello italiano: i primi ne contavano 94.299, il secondo 33.958.

Solo analisi retrospettive molto accurate, che dovranno tener conto di un grande numero di fattori (fra cui le scelte intraprese dai singoli paesi in ordine all’opportunità di adottare, o non, politiche tempestive, generalizzate e più o meno drastiche di lockdown) potranno dire se la proporzione di questi numeri potrà essere ritenuta rivelatrice di un maggiore o minore livello di «preparatezza» che i singoli sistemi sanitari, nel loro insieme e alla prova dei fatti, hanno esibito di fronte all’irrompere del COVID[16].

Il terzo dato su cui fermare l’attenzione è più specifico perché riguarda i decessi avvenuti nelle RSA italiane fra il primo febbraio 2020 e il 5 maggio 2020 fra ospiti delle strutture che avevano rivelato positività al COVID o che manifestavano sintomi ad esso ricollegabili.

Esso si ritrae da uno studio diffuso on-line dall’Istituto Superiore della Sanità il 5 maggio 2020, nel quale sono presentati i dati (parziali, perché esitati da un survey telefonico che dichiara di non restituire risultati da parte del 100% delle strutture interpellate nel territorio nazionale) relativi al numero di ospiti di struttura, COVID-positivi o con sintomi simil-influenzali, deceduti nelle RSA delle regioni italiane nel periodo indicato[17].

(table in the original article)

Allo stato questi numeri hanno solo bisogno di essere tenuti a mente, quali punti di partenza provvisori di un’analisi che richiederà tempi non brevi per essere sviluppata compiutamente[18].

Con queste non secondarie consapevolezze, destinate ad assumere rilievo più pregnante nel prosieguo di queste riflessioni, si può volgere lo sguardo alle analisi che sono state svolte all’indomani del deflagrare della pandemia, interrogandosi sugli scenari risarcitori suscettibili di delinearsi in conseguenza delle migliaia di decessi e del numero ancor maggiore di casi nei quali persone contagiate dal virus hanno risentito di lesioni invalidanti temporanee e permanenti dopo la fase acuta della malattia. Queste prime analisi, proprio come poteva sembrare ragionevole opinare nel 1995 con riferimento ai possibili terminali di imputazione dei danni determinati da contagio di sangue ed emoderivati infetti, si sono orientate a mettere a fuoco soprattutto i possibili scenari di responsabilità civile dei singoli operatori sanitari e delle strutture sanitarie o di assistenza sociosanitaria (per lo più pubbliche) trovatisi a fronteggiare eroicamente l’emergenza sanitaria COVID a partire dal febbraio del 2020.

Per i motivi che emergeranno nello sviluppo di queste pagine, si ha motivo di pensare che l’attenzione riservata in prima battuta dalla dottrina a questa potenziale tipologia di contenzioso potrebbe rivelarsi inversamente proporzionale al ruolo che questa tipologia di liti concretamente manifesterà nell’alimentare (quella che si ipotizza possa assumere le proporzioni di) una pandemia giudiziaria che si candida ad essere lasciata in eredità al nostro sistema giudiziario dall’avvento del COVID.

La potenziale casistica suscettibile di svilupparsi seguendo questo canovaccio fa i conti con un quadro applicativo della responsabilità sanitaria conformato dalle novità recate dalla riforma voluta con la l. 24/2017. Il quale, a qualche mese di distanza dall’entrata in vigore della novella del 2017, ha però visto la giurisprudenza di legittimità impegnata a ingranare una decisa marcia indietro rispetto ad alcuni punti fermi che nei primi tre lustri di questo millennio sembravano essersi consolidati nella mis en place dell’imputazione della responsabilità contrattuale in campo sanitario (che, come noto, dopo la legge Gelli-Bianco può oggi riguardare solo la struttura e il professionista operante in proprio, senza assumere la veste di ausiliario della struttura), per lo meno a far tempo dalla celebre pronuncia delle sezioni unite del 2001 intorno all’assetto generale dell’onere della prova nell’azione mirante a far valere la responsabilità civile conseguente all’inadempimento del debitore della prestazione contrattuale[19].

Questa marcia indietro non è per ora approdata alle Sezioni Unite, ma è – come noto – maturata in seno alla terza sezione della Cassazione, venendo consolidata nel novembre 2019 da una importante coppia di pronunce[20], depositate nell’ambito di un più ampio blocco di sentenze volte a definire, sulla base di una visione d’intenti generale, condivisa da un gruppo di lavoro tematico costituito in seno alla terza sezione, tutti i sotto-temi dai quali, nel generale sistema della responsabilità sanitaria, può dipendere la realizzabilità di una pretesa risarcitoria promossa da un paziente insoddisfatto dalle cure ricevute: dal danno non patrimoniale da lesione dell’integrità psico-fisica, al consenso informato, alla perdita di chance non patrimoniale, al centrale tema del nesso di causa in relazione all’obbligazione contrattuale del medico, al danno differenziale iatrogeno, alla rilevanza della cartella clinica, al ruolo della consulenza tecnica, al danno tanatologico e per la perdita di un congiunto, alla liquidazione tabellare del danno, alla retroattività degli interventi legislativi che hanno interessato la responsabilità sanitaria, alla rivalsa della struttura sul medico dipendente, fino ai profili assicurativi[21].

Veniamo quindi alle analisi fin qui compiute dalla nostra civilistica sul possibile contenzioso risarcitorio post COVID riguardante ipotesi di responsabilità medica «classica», promosso nei confronti di strutture sanitarie e professionisti operanti nell’ambito di queste ultime.

Molti fra questi primi commentatori e persino un position statement pubblicato dall’Associazione dei civilisti italiani, con una comunicazione effettuata dal suo Presidente Aurelio Gentili, datata 13 maggio 2020[22], hanno teso ad evidenziare come il regime binario (della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale) risultante dall’incrocio delle norme del codice civile con le previsioni della l. n. 24/2017 possa mostrarsi tutto sommato adeguato a gestire le conseguenze che l’emergenza potrebbe scaricare sul sistema giudiziario, respingendo – anche per i problemi di costituzionalità che la previsione solleverebbe – l’ipotesi (da alcuni esponenti politici evocata nelle prime e più cruenti fasi della pandemia) di allestire uno «scudo generalizzato» per il danno da COVID reclamato nei confronti di operatori e strutture sanitarie[23].

Si rileva come in base al diritto vigente per gli operatori sanitari dipendenti delle strutture verrebbe in gioco una responsabilità professionale da leggere alla luce della disciplina dell’art. 2043 c.c. secondo il criterio della colpa, con una valutazione condotta sul crinale dell’art. 2236 c.c.[24], per postulare che nel concetto della «speciale difficoltà» incontrata dai sanitari nel fronteggiare il quadro patologico suscitato nei pazienti contagiati da un virus sconosciuto come il COVID possa rientrare la carenza di linee guida validate da precedenti esperienze cliniche, con l’effetto di limitare la responsabilità dei singoli professionisti ai soli casi di dolo o colpa grave, sì da esonerare da responsabilità l’operatore cui possa muoversi un mero addebito di colpa lieve sotto il profilo della negligenza e l’imperizia[25].

Sul secondo scenario, quello involgente la responsabilità della struttura, si è osservato che la carenza organizzativa o gestionale si avvii ad esser letta alla luce dell’art. 1218 c.c.[26], senza però potersi giovare in quel caso della stampella difensiva codificata nell’art. 2236 c.c. Gli addebiti possibili, in punto di allegazione dell’inadempimento, ruoterebbero attorno ai seguenti scenari, aventi radice comune nella manifestazione di una inadeguatezza organizzativa delle strutture, là dove esse si siano rivelate incapaci di reggere all’onda d’urto emergenziale che il COVID ha causato fra i mesi di marzo e maggio 2020: a) non aver potuto ricevere una tempestiva e sollecita ospedalizzazione nei reparti di terapia intensiva, dato l’eccessivo affollamento; b) la circostanza di averla ricevuta tardivamente, vedendo così pregiudicata la possibilità di una guarigione; c) non essere stato visitato e sottoposto a tampone in modo tempestivo, e per l’effetto non aver quindi potuto intraprendere un percorso di cure ospedaliere con la dovuta tempestività.

L’accertamento di queste ipotesi di responsabilità passerebbe necessariamente attraverso la verifica della prevedibilità del rischio che ha determinato la situazione di emergenza sanitaria, con le strutture impegnate a dimostrare – in una partita probatoria giocata sull’accertamento del nesso di causa fra difetto organizzativo e gestionale e danno, aperta all’invocabilità del danno da perdita di chance – la causa loro non imputabile che ha determinato la mancata o imperfetta prestazione ritenuta causalmente legata all’insorgenza del danno. Nel soffermarsi sul profilo della prevedibilità della «causa non imputabile COVID», non si è mancato di ricordare che in tempi precedenti al deflagrare della pandemia in Italia era pronto un piano:

«a gennaio sul tavolo del Ministero della Sanità, come anche su quelli dei più importanti enti regionali, era pronto il “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale”, dove venivano previste misure molto forti per limitare e contenere la trasmissione delle infezioni in comunità. Quindi – si potrebbe sostenere – il rischio già a gennaio 2020 era previsto»[27].

Ad oggi i contenuti di questo piano, che fonti giornalistiche fanno risalire al 21 febbraio 2020, non sono però ancora accessibili[28].

In ogni caso nella valutazione della causa non imputabile ci sarebbe spazio – e la sottolineatura è stata pressoché corale nelle riflessioni soffermatesi sui profili della responsabilità di operatori sanitari e strutture nel post COVID – per attribuire ampio rilievo a una circostanza realizzatasi a ridosso del plateau dell’emergenza pandemica: il darsi di un contesto eccezionale, segnato dalla grave carenza di risorse e di mezzi disponibili alle struttura sanitarie nel loro complesso, suscettibile di giustificare le negate o imperfette prestazioni che venivano richieste agli operatori sanitari[29].

Questa situazione emergenziale, del resto, reca vivide evidenze legislative, se si considera il reclutamento straordinario di personale che l’art. 1 del d.l. 9 marzo 2020, n. 14 – recante «Misure straordinarie per l’assunzione degli specializzandi e per il conferimento di incarichi di lavoro autonomo a personale sanitario» – è giunto a facoltizzare, permettendo la «assunzione» temporanea dei medici specializzandi e di medici neolaureati al fine di «garantire i livelli essenziali di assistenza nonché per assicurare sull’intero territorio nazionale un incremento dei posti letto per la terapia intensiva e sub intensiva necessari alla cura dei pazienti affetti dal predetto virus». Non senza ragione si è sottolineato il venire ad esistenza, in quelle terribili settimane, di «un profondo scollamento tra gli accadimenti legati ad una situazione così tragicamente eccezionale – definita di medicina delle catastrofi – ed i modelli fino ad oggi impiegati dal c.d. diritto giurisprudenziale»[30].

La drammaticità di giorni di cui tutti serberemo cupi ricordi ha del resto istigato riflessioni che, rilette a qualche mese dalla loro pubblicazione, recano traccia di un clima nel quale l’intensità della tragedia in atto muoveva a immaginare riforme risolutamente ispirate all’imperativo della solidarietà, mai come in quel frangente della storia repubblicana avvertito con urgenza dalla collettività.

Un imperativo che innerva la proposta, non priva di suggestioni, di escogitare soluzioni che, de iure condendo, permettano di destinare una quota del risarcimento del danno alla salute movimentato dalla responsabilità civile al sistema sanitario pubblico, limitando le aspettative risarcitorie del singolo a vantaggio di una parziale destinazione collettiva di quelle risorse e così evocando, anche se in modo molto mediato (anzi: su un piano molto astratto), l’idea che questa destinazione collettiva del danno possa trovare giustificazione quale risarcimento in forma specifica (perseguito, però, solo a condizione di dirsi persuasi che, superata l’emozione del momento, nel nostro ordinamento costituzionale i pronomi «io» e «noi» siano davvero divenuti sinonimi)[31].

Si aggiunge, per completare questa sommaria ricognizione delle possibili pretese risarcitorie tese a giustiziare il danno da Covid nell’ambito dei consueti schemi della responsabilità sanitaria, lo scenario – contiguo a quello fin qui descritto – dei danni reclamabili dagli eredi del personale sanitario che ha sacrificato la vita per combattere il virus in corsia, in una casistica che vedrà l’INAIL indennizzare l’infortunio sul lavoro e gli eredi reclamare l’eventuale danno differenziale del datore di lavoro deceduto o comunque danneggiato a causa del contagio[32].

E poi quello nel quale si muoveranno le pretese risarcitorie dei familiari delle persone attinte dal COVID all’interno di RSA, ove gli avvenuti contagi sembrano essere ascrivibili de plano a carenze organizzative e gestionali che hanno fatto sì che, in difetto di tempestive misure di prevenzione, le persone fragili ospitate in queste strutture fossero facile preda di contagi di massa, con elevati numeri di decessi. Viene infine ricordata la necessità di iscrivere negli scenari del probabile contenzioso risarcitorio post COVID anche le pretese promuovibili contro le strutture sanitarie da cittadini normalmente bisognosi di cure cui, con esiti dannosi, a causa dell’emergenza COVID sia stato precluso l’accesso ordinario in ospedale o ai quali siano stati ritardati trattamenti sanitari indilazionabili per l’affollamento di malati colpiti dal coronavirus[33].

4. LO «SCUDO NORMATIVO»: CENNI ALLE PROPOSTE LEGISLATIVE EMERGENZIALI ACCANTONATE

Anche se la circostanza che gli emendamenti non siano riusciti a tradursi in norme pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale nemmeno nel momento più drammatico della pandemia li consegna all’attenzione di quanti si incaricheranno di raccontare la storia di come il nostro Paese ha reagito alla pandemia, le proposte formulate durante il dibattito parlamentare per l’attuazione del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 – volte a introdurre un regime speciale di responsabilità sanitaria connesso all’emergenza epidemiologica da Covid 19 – meritano di essere brevemente ricordate, perché possono contribuire a impostare riflessioni di carattere più ampio che il tema percorso in questa analisi indurrà a svolgere[34].

Tra le diverse proposte presentate – volte a ridefinire i parametri applicativi della legge Gelli-Bianco durante l’emergenza epidemiologica – spicca l’emendamento a prima firma del senatore Marcucci, recante un’articolata limitazione della responsabilità civile e penale delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, e degli esercenti le professioni sanitarie, in ragione della novità ed eccezionalità dell’emergenza sanitaria cagionata dal Covid 19.

Nella versione iniziale dell’emendamento, poi modificato, la limitazione di responsabilità era riferita a tutti gli eventi avversi – non solo direttamente riferibili alla situazione di emergenza – ma anche a quelli ad essa indirettamente connessi. Lo stato di grave emergenza provocato dalla pandemia ha travolto, infatti, non solo i reparti specialistici di terapia intensiva delle strutture ospedaliere, ma tutta l’organizzazione sanitaria complessiva ad iniziare da quella territoriale dell’assistenza medico generica; per questa ragione, il regime speciale – nella formulazione originaria – era esteso non solo ai sinistri di cui sono state vittime pazienti affetti da COVID, ma anche agli eventi avversi patiti da pazienti colpiti da patologie differenti, i quali potevano aver avuto in sorte di essere danneggiati dalla situazione straordinaria e contingente che ha travolto tutti i livelli di erogazione delle prestazioni sanitarie.

Il regime di irresponsabilità previsto nel c.d. «emendamento Marcucci» era escluso solo nei casi di dolo – qualificabile, nella versione iniziale, come dolo specifico, come «condotte intenzionalmente finalizzate alla lesione della persona» – oppure di colpa grave «consistente nella macroscopica e ingiustificata violazione dei principi basilari che regolano la professione sanitaria o dei protocolli o programmi emergenziali predisposti per fronteggiare la situazione in essere». L’accertamento della colpa grave era demandato ad una valutazione che tenesse in considerazione «la proporzione tra le risorse umane e materiali disponibili ed il numero di pazienti su cui è necessario intervenire, nonché il carattere eterogeneo della prestazione svolta in emergenza rispetto al livello di esperienza e di specializzazione del singolo operatore». Tali richiami – alle carenze strutturali ed organizzative del presidio ospedaliero ed al possibile difetto di «esperienza» e «specializzazione» degli operatori – avrebbero normativamente imposto di adeguare il regime di responsabilità alla situazione di eccezionale emergenza o di medicina delle catastrofi in cui si sono trovate ad operare le strutture sanitarie[35].

5. IL PROBABILE ASSETTO DEL CONTENZIOSO GIUDIZIARIO POST EMERGENZA SANITARIA DA COVID, NEL RIPARTO DI COMPETENZE STATO-REGIONI PER LA TUTELA DELLA SALUTE PUBBLICA DI FRONTE A CATASTROFI SANITARIE INDOTTE DA PANDEMIE INFLUENZALI

5.1. TUTELA DELLA SALUTE E PREVENZIONE DELLE EPIDEMIE: IL QUADRO ISTITUZIONALE E LE MISURE AMMINISTRATIVE PREVISTE ALLO SCOPO

La pur sommaria disamina dei fronti problematici connessi agli scenari di responsabilità sanitaria del post Covid finora passati in rassegna delinea un panorama nel quale ben difficilmente un operatore ausiliario di una struttura sanitaria, ancorché con funzioni dirigenziali, sarà attinto dal contenzioso: chiamato a rispondere in base all’art. 2043 c.c., il professionista potrà invocare la speciale difficoltà e in ultima analisi potrà sempre deflettere l’addebito mosso nei suoi confronti, indirizzandolo verso la struttura, evidenziando la rilevanza causale assorbente, ricavabile dall’analisi della eziologia del danno lamentato dal paziente assistito, attribuibile a circostanze ascrivibili alla struttura e legate a carenze di programmazione e di organizzazione tradottesi nella concreta indisponibilità di mezzi e personale adeguato a fronteggiare la situazione.

Saranno il più delle volte queste carenze ad ergersi, nella complessa analisi consulenziale da svolgersi in corso di giudizio sulla base di risultanze documentali capaci di fotografare lo stato organizzativo e gestionale della struttura nel momento in cui la prestazione era erogata, a fattore causale immanente del rimprovero mosso al modo di esplicare la condotta professionale del singolo medico, sulla base peraltro di leges artis che abbiamo visto essere permeabili in vario modo a letture capace di mostrare sensibilità per il complesso e inedito stato di emergenza affrontato in quei frangenti dal singolo professionista.

Salvo casi contrassegnati da errori o trascuratezze eclatanti, indirizzare le proprie pretese risarcitorie contro gli eroi che hanno messo a repentaglio la propria vita, in molti casi perdendola, per salvare altre vite umane e garantire le cure nel contesto dell’emergenza COVID, difficilmente potrà rivelarsi una strada molto gettonata dalle vittime della pandemia.

L’alternativa – invocare la responsabilità della struttura – prospetta una strada certamente più favorevole alle pretese dei danneggiati, sebbene non così scorrevole come potrebbe sembrare a tutta prima. In questo secondo scenario la prova della causa non imputabile rimessa alla struttura verrà, infatti, grandemente favorita dalla possibilità di assegnare rilievo all’imprevedibilità e alla rapidità di cui la diffusione del virus si è dimostrata capace, e alla necessità di considerare, a monte della situazione gestionale esistente al momento in cui la struttura erogava contrattualmente la prestazione diagnostica e/o terapeutica oggetto di giudizio, le risorse rese strutturalmente disponibili alla struttura stessa per far fronte all’insorgere di emergenze della magnitudo di quella effettivamente manifestatasi, nel quadro delle voci di bilancio strutturalmente e programmaticamente messe a disposizione di queste strutture dall’Ente regione.

E così – risalendo i vari livelli organizzativi-contabili entro i quali si dipana il mosaico di determinazioni amministrative programmatiche attraverso cui viene garantita a ciascuna struttura la disponibilità di risorse destinate a gestire insorgenze sanitarie di segno catastrofico determinate da virus influenzali sconosciuti – si giungerà fatalmente a mettere all’indice le allocazioni apicali mobilitate dall’Ente regione, cui compete la programmazione della spesa sanitaria sul territorio di propria competenza, per far fronte strutturalmente all’avvento di emergenze legate all’insorgere di possibili pandemie virali[36].

Eccoci finalmente giunti al punto nodale della vicenda esaminata in questo studio, nel quale il déjà-vu col quale questa riflessione si è aperta finisce per saldarsi alla consapevolezza che, dal punto di vista della conoscenza del rischio, le pandemie influenzali, quali terribili minacce per la salute pubblica e individuale, non sono affatto assimilabili a un virus a tal punto sconosciuto alla scienza medica da essere oggetto di iniziale riconoscimento solo a seguito di riscontri epidemiologici che seppero collegare decessi inspiegabili occorsi in diverse zone del globo, come  accadde, per esempio, nel caso del virus HIV. Un agente virale misteriosamente manifestatosi nei suoi esiti patologici (solo in un secondo tempo riconosciuti quali elementi caratterizzanti l’insorgenza di un virus letale) nel 1981, che fu scientificamente associato alla trasmissibilità (anche) per via ematica nel luglio del 1982, fu descritto geneticamente e denominato HIV nel 1984, per essere finalmente reso individuabile (e dunque contrastabile), mercé la progressiva disponibilità di saggi specifici di ricerca virale clinicamente applicabili su larga scala, solo nel corso del 1985.

Senza risalire al virus responsabile della pandemia della Spagnola che, come tutti sappiamo, afflisse il globo circa un secolo prima della comparsa del COVID-19, il potenziale di rischio ricorrente, incerto quanto al suo manifestarsi temporale, ma ben conosciuto nei suoi fondamenti scientifici, scandito dall’apparire improvviso di epidemie e pandemie influenzali, assume una fisionomia perfettamente nota, nel senso proprio di una lineare logica di pre-visione, sia a chi sovraintende sul piano tecnico-scientifico i sistemi di salute pubblica, sia a quanti di questi sistemi hanno la responsabilità politica e gestionale.

Della vigenza di questo stato di previsione programmatica offre conferma la legge, che non da oggi si è incaricata di attribuire precisi compiti istituzionali deputati a fronteggiare le minacce epidemiche e pandemiche, nel quadro delle competenze legislative che la Costituzione assegna per garantire tutela al diritto alla salute dei cittadini, in una dimensione che come vedremo si rende partecipe della protezione civile dei cittadini italiani.

L’art. 6 della legge istitutiva del SSN (833/1978) attribuì e continua ad attribuire allo Stato «le funzioni amministrative concernenti (…) gli interventi contro le epidemie». Inaugurando la competenza legislativa concorrente delle regioni in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera, l’art. 11 della stessa legge dispose che «le regioni esercitano le funzioni legislative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato ed esercitano le funzioni amministrative proprie o loro delegate». In questo ambito esse possono concordare con gli organi della sanità militare competenti «l’uso delle strutture ospedaliere militari in favore delle popolazioni civili nei casi di calamità, epidemie».

Il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, all’articolo 112, comma 3, lettera g), lasciava invariato il riparto delle competenze tra Stato e regioni in materia di sorveglianza e di controllo delle epidemie ed epizoozie di dimensioni nazionali o internazionali. L’articolo 115, comma 1, lettera a), della stessa legge prevedeva che dovessero essere conservati allo Stato, tra l’altro i compiti e le funzioni amministrative concernenti l’adozione dei piani di settore aventi rilievo ed applicazione nazionali, mentre il successivo articolo 117 prevedeva che «in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, mentre negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza spettasse allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali». A livello locale, infine, il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali», all’articolo 50, comma 5, demanda al Sindaco, quale rappresentante della comunità locale, l’adozione, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, di ordinanze contingibili e urgenti. Al di fuori delle previsioni contenute nel decreto legislativo n. 267/2000, quindi, l’adozione dei provvedimenti d’urgenza per fronteggiare l’emergenza di epidemie, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali.

È noto che l’assistenza sanitaria e l’attuazione dei sistemi di prevenzione e igiene pubblica è garantita dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). In particolare, ai sensi della legge n. 833/1978 il SSN è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. Se è vero che l’attuazione del SSN compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini, la sua organizzazione è stata nel volgere del tempo modificata dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante «Modificazioni al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421», dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, recante «Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421» ed infine dal d.lgs. 16 giugno 1999, n. 229, recante «Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della L. 30 novembre 1998, n. 419».

La struttura del nuovo SSN, così come derivata dalla riforma, si articola quindi in: Stato, Regioni, Aziende Sanitarie Locali (ASL) e Aziende Ospedaliere. Il territorio regionale è diviso in Aziende Sanitarie Locali (ASL) e Aziende Ospedaliere (AO), o con altra denominazione secondo l’organizzazione regionale. Le ASL sono costituite da distretti sanitari, presidi ospedalieri e alcuni dipartimenti, tra cui il dipartimento di prevenzione. Nel territorio di competenza le ASL sono chiamate a svolgere globalmente i compiti di prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione e medicina legale, provvedendo a servizi come l’erogazione e l’organizzazione dell’assistenza medica generica e specialistica, dell’assistenza pediatrica, dell’igiene ambientale e degli alimenti. L’articolo 47-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, attribuisce, invece, al Ministero della salute le funzioni spettanti allo Stato in materia di tutela della salute umana, di coordinamento del sistema sanitario nazionale, nell’ambito e con finalità di salvaguardia e di gestione integrata dei servizi socio-sanitari e della tutela dei diritti alla dignità della persona umana e alla salute, di sanità veterinaria, di tutela della salute nei luoghi di lavoro, di igiene e sicurezza degli alimenti.

In un quadro già complesso, la riforma del Titolo V della Costituzione – dovuta alla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 – ha affidato la tutela della salute alla legislazione concorrente di Stato e Regioni, estendendo al più ampio obiettivo della tutela diretta del diritto sancito dall’art. 32 Cost. l’ambito della competenza legislativa regionale, prima limitata all’assistenza sanitaria e ospedaliera, e così delineando un sistema caratterizzato da un pluralismo di centri di potere mercé il quale il ruolo e le competenze attribuite alle autonomie locali sono state decisamente ampliate[37].

La riforma ha esplicitamente delegato alle regioni l’organizzazione e la gestione dei servizi sanitari. Alle regioni spetta, in particolare, il compito di organizzare ed erogare l’assistenza sanitaria attraverso piani sanitari regionali (PSR) predisposti tenendo conto delle indicazioni del piano sanitario nazionale (PSN). Ma, a dispetto di ogni tentativo tracciare nitide geometrie costituzionali, la reale fisionomia della competenza legislativa concorrente di Stato e regioni sulla tutela della salute dopo la riforma costituzionale del 2001 continua ad agitarsi fra Scilla e Cariddi, perché per un verso la giurisprudenza costituzionale ha ribadito la dimensione incomprimibile e indifferenziabile del diritto alla salute sul territorio nazionale[38], mentre per l’altro la Consulta ha teso a ribadire che l’autonomia legislativa regionale incontra il limite degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa, di cui lo Stato rimane controllore e arbitro, anche esercitando la sua competenza legislativa esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i di ritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale[39].

Si aggiunga che la tutela della salute, quale ambito di competenza concorrente Stato-regioni, non resta insensibile al fatto che la tutela di questo diritto è di per sé un campo suscettivo di essere influenzato dall’esercizio di competenze legislative che lo Stato mantiene in via esclusiva, come la tutela dell’ambiente, l’ordinamento civile e la profilassi internazionale (art. 117, secondo comma, Cost.).

Sullo sfondo di un mosaico di competenze legislative in materia di tutela del diritto della salute che chiama Stato e regioni a una stretta, ma non sempre così linearmente definita collaborazione, nel quale diventa fisiologico attendersi che la Consulta sia periodicamente investita del compito di svolgere delicate operazioni di bilanciamento, negli ultimi lustri del secolo scorso veniva a delinearsi autonomamente l’assetto della Protezione civile. Con la l. 24 febbraio 1992, n. 225, si delegava alla Presidenza del Consiglio dei Ministri una funzione apicale di coordinamento, mentre in seno a questo organo veniva istituito il Dipartimento della Protezione civile. Fra gli eventi che la nuova istituzione era prospetticamente chiamata a fronteggiare venivano individuate le «calamità naturali o connesse con l’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo»[40].

Mentre con la riforma del titolo V della Costituzione del 2001 la protezione civile era assoggettata alla potestà legislativa concorrente di Stato e regioni, e dopo che la c.d. legge Bassanini aveva esplicitamente delegato alle regioni e agli altri enti locali le funzioni amministrative inerenti alla protezione civile[41], il Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con d.m. 13 febbraio 2001 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 81 del 6 aprile 2001) emanò un provvedimento quadro, recante «Adozione dei criteri di massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi».

In esso sono dettate le linee guida per l’allestimento dei piani di emergenza destinati a gestire le catastrofi in relazione ad eventi calamitosi naturali o connessi con le attività dell’uomo: «il presente documento del Dipartimento della Protezione Civile, per i sistemi sanitari regionali, deve quindi essere inteso come indicazione da cui estrapolare e ritagliare modelli organizzativo territoriali che, utilizzando le particolarità organizzative del contesto di riferimento, raggiungono gli obiettivi prefissati dal documento stesso e ne applicano i princìpi»[42].

Veniva quindi precisato, nell’ambito di un testo ricco di dettagli nel descrivere le misure e gli accorgimenti da prevedere per organizzare i soccorsi sanitari destinati a fronteggiare le catastrofi, che «nell’ambito delle funzioni conferite alle Regioni in materia di protezione civile (d.l. n.112/1998, art. 108) la Regione provvede alla predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, anche dal punto di vista sanitario, sulla base degli indirizzi nazionali, tenuto conto anche delle indicazioni contenute nel presente documento». Nonostante il carattere preparatorio e programmatico del decreto in parola, in esso le epidemie trovavano menzione fra gli eventi attesi, in quanto «ipotesi di rischio associabili ai rischi principali» (punto 1.9.2.).

Pochi mesi dopo l’emanazione di questo importante atto da parte del Dipartimento della protezione civile, l’avvento della minaccia pandemica posta dall’influenza aviaria a cavallo del millennio mosse l’Organizzazione Mondiale della Sanità a raccomandare a tutti i Paesi di mettere a punto un Piano pandemico e di aggiornarlo costantemente seguendo linee guida concordate.

Il primo «Piano nazionale di preparazione e risposta per una pandemia influenzale», strutturato sul modello prescritto dal decreto del 2001 della Protezione civile in una formulazione necessariamente multilivello, fece la sua comparsa nella G.U. del 26 marzo 2002, n. 72.

Esso recava con estremo dettaglio previsioni che facevano riferimento all’allora recentemente occorsa pandemia aviaria, per declinare però i dati ricavati da quell’esperienza e anche da situazioni pandemiche occorse in tempi più risalenti in una proiezione futura, aperta a considerare – come del resto recitava l’intitolazione di taglio generale del provvedimento – il rischio legato all’apparire di una futura e indistinta pandemia influenzale.

L’importanza di questo testo ai fini del discorso qui sviluppato ne consiglia la riproposizione testuale in forma pressoché integrale nel prossimo paragrafo, nonostante le sue dimensioni (i grassetti sono aggiunti).

5.2. IL PRIMO PIANO NAZIONALE MULTIFASE DI EMERGENZA PER UNA PANDEMIA INFLUENZALE DEL 2002

PIANO ITALIANO MULTIFASE D’EMERGENZA PER UNA PANDEMIA INFLUENZALE[43]
La comparsa di un nuovo ceppo influenzale, verso cui la maggioranza della popolazione risulta suscettibile, si pensa possa avere conseguenze paragonabili alla pandemia verificatasi nel 1918 (influenza spagnola) con costi senza precedenti, in termini di morbosità e mortalità.
La velocizzazione degli spostamenti, e la conseguente riduzione dei tempi necessari per gli interventi, renderebbe inoltre ancora più difficile e pressoché impossibile controllare efficacemente la diffusione del virus. La possibilità di disporre in anticipo di uno specifico piano d’azione nazionale, si ipotizza possa consentire di minimizzare le conseguenze di una eventuale pandemia influenzale. A tale scopo il Comitato istituito ad hoc ha elaborato il presente documento che prevede un apporto multidisciplinare nell’attuazione di interventi realizzabili in fasi diverse, atti a fronteggiare una pandemia.
L’attuazione del Piano nazionale per una eventuale pandemia (PNEP), si propone di perseguire obiettivi diversi: a) ridurre la morbosità e la mortalità della malattia; b) far fronte al numero di soggetti con complicanze da influenza, alle conseguenti ospedalizzazioni e al numero di morti; c) assicurare il mantenimento dei servizi essenziali; d) minimizzare l’interruzione dei servizi sociali e delle perdite economiche; e) stabilire le modalità di diffusione di informazioni aggiornate per gli operatori sanitari e per la popolazione generale.
Il PNEP sarà inoltre riesaminato dal Comitato, con scadenza annuale, alla luce dell’evoluzione delle conoscenze scientifiche nei campi di interesse.
Il Piano è stato esaminato, con parere favorevole, dal Consiglio superiore di sanità e dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
  1. A) Introduzione.
A.1. Il virus influenzale.
L’influenza è un’infezione virale causata da tre tipi di virus, A, B e C, l’ultimo dei quali di scarsa importanza per l’uomo. Le epidemie influenzali sono normalmente causate da virus di tipo A. In Italia, l’attività dell’influenza di tipo A aumenta durante quasi tutte le stagioni invernali, anche se non sempre con caratteristiche epidemiche. L’influenza B predomina ad intervalli di alcuni anni e di solito colpisce sia giovani che anziani.
I virus influenzali di tipo A e sono antigenicamente labili, vale a dire che vanno incontro a frequenti cambiamenti antigenici di minore entità («drift antigenico»). Cambiamenti di maggiore entità («shifts antigenici») si verificano periodicamente solo per i virus di tipo A. Sono responsabili della comparsa di nuovi sottotipi di virus influenzali con caratteristiche antigeniche molto diverse rispetto ai virus precedenti e possono causare pandemie. Nella maggior parte dei casi i nuovi sottotipi insorgono per fenomeni di ricombinazione genetica fra virus influenzali dell’uomo e virus influenzali di altre specie animali.
A.2. La malattia ed il periodo di incubazione.
L’influenza è caratterizzata da un periodo di incubazione di 48-72 ore. Nei pazienti adulti, i titoli virali nei lavaggi nasofaringei scendono di solito a livelli minimi a partire dal quinto giorno, perciò gli adulti possono trasmettere l’infezione per 4-5 giorni. La replicazione virale è di solito più prolungata nei bambini.
L’influenza si presenta di solito come una malattia febbrile non-specifica, accompagnata da sintomi che interessano le vie respiratorie superiori e sintomi generici (faringite, tosse secca, mal di testa, dolori muscolari ecc.). Nei casi non complicati i sintomi si risolvono in 3-5 giorni, anche se può seguire un periodo di affaticamento e di depressione. Non sempre inoltre l’infezione provoca dei sintomi. È stato ad esempio osservato che infezioni da virus influenzale di tipo A/H1N1 in bambini che non avevano precedente esperienza di questo sottotipo, non hanno indotto comparsa di febbre in circa la metà dei soggetti infettati.
Nel caso in cui si verifichino complicanze queste includono otite media (nei bambini), bronchite o polmonite. Quest’ultima può essere causata direttamente dal virus influenzale, ma più frequentemente da superinfezione batterica da stafilococco aureo, streptococco o emofilo dell’influenza. La malattia è più severa e soggetta a complicanze in coloro che hanno malattie croniche pregresse, negli immunodepressi e negli anziani.
Può verificarsi il decesso del paziente precocemente (24-36 ore dall’infezione), apparentemente a causa di una infezione virale fulminante, o dopo alcuni giorni, in conseguenza di complicazioni quali polmonite o per la riacutizzazione di una malattia cronica.
A.3. Epidemiologia.
Durante i periodi di «drift» virale, le varianti di un ceppo già circolante possono causare epidemie, ma più frequentemente danno luogo ad un complessivo incremento della incidenza e a piccoli focolai localizzati. Ciò accade perché persone con una esperienza pregressa di infezione con varie versioni del sottotipo correntemente circolante hanno un certo grado di immunità verso di esso, riducendo pertanto il numero di persone suscettibili. Le fasce di età più suscettibili sono rappresentate dai nuovi nati e dai giovani.
La comparsa di un nuovo sottotipo (cambiamento antigenico maggiore o «shift») è caratterizza dalla assenza di reattività crociata con i sottotipi precedenti. Un nuovo ceppo o sottotipo di influenza A, verso cui la maggioranza dalla popolazione è quindi suscettibile, è potenzialmente in grado di diffondersi ampiamente e causare la malattia.
Una situazione del genere si ipotizza si sia verificata nel secolo precedente nel caso della l’influenza spagnola del 1918, ed in minor misura nel 1957 e 1968.
Una situazione differente è quella verificatasi nel 1977/78, con la ricomparsa di un ceppo molto simile ai virus H1N1 circolanti negli anni `50. In questo caso, tutti i nati prima del 1957 erano protetti verso l’infezione o una forma grave della malattia. Il principale gruppo bersagli sono stati i bambini e i giovani nati dopo il 1956, con alte percentuali di incidenza nelle scuole e università. Questo profilo si è poi spostato a tutti i gruppi di età negli anni successivi. Altra peculiarità è che la riemergenza del sottotipo H1N1 non ha determinato la scomparsa del sottotipo H3N2 precedentemente circolante, così che a tutt’oggi entrambi i sottotipi continuano a circolare, andando incontro a drift antigenico.
I due più importanti casi di comparsa di virus di nuovo sottotipo, che però non hanno causato pandemie (New Jersey 1976 e Hong Kong 1997), indicano tuttavia un fatto importante: le mutate caratteristiche antigeniche di un virus, anche quando lo siano in modo drastico, non sono di per sé sufficienti a determinarne la capacità di diffondersi da uomo a uomo. Altre proprietà del virus a tutt’oggi sconosciute, sono evidentemente necessarie perché ciò avvenga.
Altri dati che ci derivano dalla esperienza passata sono quelli che indicano che la comparsa nell’uomo di ceppi con una mutata proteina di superficie di per sé non sono sufficiente a determinare una pandemia. Le ricerche future dovranno essere indirizzate anche alla individuazione dei determinanti genetici della virulenza, in modo da poter sia identificare i ceppi antigenicamente mutati con maggiore rischio di pandemia, sia sfruttare queste conoscenze per la messa a punto di un vaccino vivo attenuato.
Negli ultimi 23 anni si sono verificati inoltre svariati casi di «falsi allarmi» (vedi tab. 1), con virus influenzali trasmessi all’uomo direttamente da un’altra specie animale. Non si è però assistito ad una diffusione dei virus nella popolazione. La relativa frequenza di questi episodi, rispetto a quella delle pandemie precedenti, riflette da una parte il miglioramento dell’attività di sorveglianza e il suo allargamento anche ad alcune specie animali, dall’altra probabilmente rappresenta solo la punta dell’iceberg della variabilità naturale dei virus influenzali. L’identificazione precoce di un ceppo insolito o inatteso è fondamentale per poter iniziare a predisporre un piano di pre-allerta (anche quando non è ancora noto il suo potenziale di trasmissibilità), e deve poter contare su un efficiente sistema di sorveglianza sia umana che veterinaria.
A causa della importanza dei virus influenzali degli animali (fenomeni di ricombinazione genetica e/o diretto passaggio di virus dagli animali all’uomo) va sottolineato il ruolo delle Istituzioni competenti per la medicina veterinaria. Tali Istituzioni programmano e sovrintendono alla sorveglianza epidemiologica dell’influenza nelle diverse specie animali, il controllo dell’andamento dei focolai di influenza e infezioni similari di origine virale nelle specie animali recettive, in particolare aviarie e nei suini; studiano e sviluppano prodotti immunizzanti sperimentali in grado di garantire un’adeguata copertura immunitaria in situazioni di emergenza e accertano le caratteristiche di qualità, innocuità, efficacia dei prodotti immunizzanti utilizzati per la profilassi dell’influenza nelle varie specie animali; curano la stesura dei piani di emergenza in àmbito veterinario.
Il caso più recente, nel 1997 ad Hong Kong, ricade nel gruppo dei «falsi allarmi» pandemici, dal momento che ricerche approfondite non hanno evidenziato una efficiente trasmissione inter-umana dei virus del sottotipo H5N1 passati dai polli all’uomo e le infezioni umane sono terminate con la distruzione di massa del pollame domestico in tutta la regione. Tuttavia, la elevata mortalità associata ai pochi casi di infezione verificatisi (6 casi su 18 persone infettate), così come la forte tossicità dei virus in questione per le uova embrionate di pollo, il substrato elettivo per la crescita di virus a scopo vaccinale, ha posto dei problemi tecnici nuovi. La manipolazione in laboratorio dei virus ha richiesto l’utilizzo di strutture ad alto contenimento e con un livello di biosicurezza più alto di quelle normalmente utilizzate; la messa a punto dei ceppi riassortanti ad alta crescita per la produzione vaccinale ha richiesto tempi relativamente lunghi a causa dei problemi incontrati nei processi di selezione in uovo (più di 12 mesi sono intercorsi dal caso indice di Maggio 1997 alla disponibilità dei reagenti per un vaccino sperimentale).
È possibile ipotizzare che in caso di pandemia non meno del 70% della popolazione italiana di ogni età, a varie ondate, verrebbe infettata, e da 6 a 16 milioni di persone, di tutte le età, potrebbero ammalarsi di influenza.
In questi casi, quindi, la messa a punto rapida di un vaccino efficace contro un ceppo pandemico può non essere fattibile e quindi misure di controllo alternative devono essere prese in considerazione in anticipo.
Da ciò deriva la necessità di attuare un complesso di azioni organizzate in un Piano pandemico, capace di rispondere efficacemente alla minaccia di una pandemia e che deve essere flessibile, per poter rispondere ai diversi scenari possibili.
A.5. Un possibile scenario basato sulle conoscenze desunte dalle precedenti pandemie di questo secolo.
Non è possibile prevedere né il momento né il preciso impatto di una futura pandemia.
La severità della malattia causata da un nuovo ceppo virale, la rapidità della sua diffusione e i gruppi maggiormente suscettibili nella popolazione sono tutti fattori ignoti.
Tuttavia, ai fini della pianificazione, l’analisi delle precedenti pandemie può fornire informazioni preziose sulle probabili dimensioni dell’impatto.
A.5.1. Quando avrà luogo la prossima pandemia?
Gli intervalli di tempo intercorsi tra le precedenti pandemie hanno oscillato tra 11 e 42 anni, senza un andamento definito. L’ultima pandemia è avvenuta nel 1968/69.
A.5.2. Possibili ceppi virali.
Le precedenti pandemie sono state causate da virus influenzali di tipo A. In anni recenti ceppi di entrambi i sottotipi A(H1N1) e A(H3N2) hanno co-circolato. La ricomparsa di una componente H2 o N7 è stata prevista come un probabile evento responsabile di una nuova pandemia. Tuttavia, l’evento che ha suscitato e suscita tuttora la maggiore preoccupazione, anche per il suo carattere di novità inattesa, è il passaggio di un virus del sottotipo H5N1 direttamente da aviari domestici all’uomo (Hong Kong 1997). Infatti, ciò rende più probabile l’eventualità della emergenza di altre emagglutinine, finora sconosciute all’uomo, o per trasmissione diretta dagli uccelli o, più pericolosamente, per riassortimento con virus influenzali umani direttamente nell’uomo.
A.5.3. Previsioni sulla diffusione dell’epidemia.
Emergenza di un ceppo potenzialmente pandemico
Epidemia di influenza interpandemica
Pandemia di influenza moderata o grave
Pandemia di influenza gravissima
(scenario 1)
(scenario 2)
(scenario 3)
(scenario 4)
Anno di riferimento
1976
1970-1995
1957 e 1968
1918
Incidenza
500 casi (Hilleman 1996)
Francia 19989:8.6% popolazione totale (Costagnola 1991)
Europa 1968:27% della popolazione totale (Ghedon 1994, Stuart Harris 1970)
Francia 40% popolazione attiva (Hannoun 1995) Mondo da 1/4 a 1/2 Popolazione totale (Ghedon 1994)
Assenteismo scolastico
Nessuno
<10% (Hannoun 1977)
50% (Stuarth Harris 1970)
Non disponibile
Consumo di cure
Nessuno
Belgio 1989: 40% delle consultazioni medicina generale (Snacken 1992)
Non disponibile
Non disponibile
Consumo di farmaci
Nessuno
Belgio 1993: 26% di aumento
Non disponibile
Non disponibile
Mortalità diretta e
1
indiretta
(Seneca, 1980)
Gran Bretagna 1989:
Europa 70.000 1957 e
Mondo: 20-40 milioni
30.000 (Ashley 1991)
30.000 1968 (Nicholson
(Ghedono 1994)
Belgio 1989: 4.900
1992) Mondo 1968 1
Non disponibile
(Snacken 1992)
milione (Maillard, 1968)
Impatto globale
Nessuno
Francia 1989:
USA 1857: 39 miliardi
Ospedalizzazioni 7.500
USA
Giornate di lavoro
(Ghedon 1994)
perdute: 17.000.000
Giornate di scuola perdute
7.000.000 costo per la
società: 17 miliardi di FF
Le modalità di disseminazione geografica di una pandemia seguono l’evoluzione dei mezzi di comunicazione. Questo spiega perché le pandemie più recenti hanno fatto il giro del mondo più rapidamente delle precedenti. In anni inter-pandemici, la diffusione di una nuova variante di un ceppo esistente impiega circa 18 mesi, così da permettere l’incorporazione del nuovo ceppo nel vaccino annuale prima che la malattia si diffonda. I ceppi pandemici del passato si sono diffusi in tutto il mondo in circa sei mesi. La rapidità di tale disseminazione potrebbe far credere che in caso di pandemia influenzale non ci sarà il tempo necessario per prendere le necessarie misure preventive, e in particolare per l’allestimento di un vaccino monovalente «ad hoc». Tuttavia, la storia delle pandemie passate ci dice che esse si sono diffuse a ondate successive, con un intervallo di 12-18 mesi tra la scoperta del primo caso e l’estinzione della variante pandemica. Inoltre, la disseminazione geografica di una pandemia può essere variabile, potendosi presentare come casi isolati, sporadici, localizzati o disseminati. È possibile quindi prevedere che in caso di pandemia, il vaccino non potrà essere allestito per la prima ondata, ma sarà possibile ricorrere farmaci anti-virali e ad altre misure di prevenzione non specifiche.
Tipicamente, i nuovi virus influenzali sono comparsi in Estremo Oriente e da lì si sono diffusi nel resto del mondo.
A.5.4. Periodo dell’anno.
L’influenza pandemica può fare la sua comparsa in qualunque momento dell’anno e non necessariamente durante la normale stagione influenzale (novembre-marzo):
Anno
Picco della malattia (dati UK)
1889/90
Gennaio
1918/19
1ª ondata
Luglio
2ª ondata (la più severa)
Novembre
3ª ondata
Febbraio
1957/58
Settembre/Ottobre
1968/69
1ª ondata
Marzo/Aprile
2ª ondata
Gennaio 1970
A.5.5. Durata dell’attività.
Nella maggior parte dei casi, le epidemie stagionali hanno una durata di circa 6-8 settimane. Lo stesso si può dire dell’attività influenzale di tipo pandemico (ad es. in UK dove tuttavia nel 1968/69 più bassi livelli di attività sono continuati per 3-4 mesi). Tale considerazione porta alla conclusione che l’intensità dell’epidemia si concentra in un ristretto arco di tempo e, in caso di pandemia, il diffondersi della malattia sarà presumibilmente in «ondate» epidemiche.
Testo del comunicato – Parte II
  1. BScenari e stime impatto in Italia – Andamento epidemie.
Di seguito viene riportata la schematizzazione dell’impatto di un’epidemia o di una pandemia, facendo riferimento a quanto si è verificato in passato.
Impatto secondo il tipo di epidemia o di pandemia influenzale.
Le raccomandazioni dell’OMS invitano ad elaborare un piano d’azione che si basi su di un tasso di attacco del 25%, ma poiché le conseguenze della comparsa di un nuovo ceppo influenzale sono del tutto imprevedibili, sembra ragionevole individuare alcune situazioni alternative plausibili:
Scenario 1. Un ceppo pandemico è stato individuato ma non è stata segnalata nessuna diffusione pandemica (stato di allerta pandemico), si hanno unicamente casi isolati, limitati ad uno stesso distretto geografico.
Scenario 2. Ci sono segni di diffusione pandemica il cui impatto sarà confrontabile con una epidemia grave ma non con una pandemia; si verificherà un aumento dell’assenteismo scolastico e lavorativo e del numero di visite mediche per infezioni respiratorie acute di almeno il 10%.
Scenario 3. A partire dallo scenario precedente, l’incremento percentuale delle consultazioni del medico di famiglia oscilla tra il 30 e il 50%; si registra un aumento di almeno il 50% della domanda di ricovero ospedaliero totale.
Scenario 4. Tutti gli indicatori superano largamente le cifre che delineano lo scenario precedente e implicano la necessità di utilizzare delle misure eccezionali.
B.1. Incidenza nella stagione influenzale 2000-2001.
In Italia l’influenza è una malattia a notifica obbligatoria in classe I solo se il caso viene confermato con l’isolamento virale. Tuttavia la notifica viene effettuata raramente in quanto l’influenza è diagnosticata per lo più su base clinica e raramente confermata con indagini di laboratorio.
Pertanto le notifiche rappresentano solo una piccolissima parte dei casi di influenza che si verificano annualmente e non forniscono stime realistiche sull’incidenza della malattia e sulle caratteristiche delle persone che si ammalano.
Per stimare l’incidenza, a partire dalla stagione 1999-2000, è stata istituita una rete di sorveglianza sentinella epidemiologica e virologica dell’influenza, estesa a tutto il territorio nazionale e basata sui medici di medicina generale e su pediatri di libera scelta (medici sentinella) che, settimanalmente, raccolgono dati sul numero di casi di influenza e forme simil-influenzali osservati nella popolazione generale e li inviano alle Istituzioni di competenza.
I dati forniti dal sistema di sorveglianza nel periodo 42a/2000-17a/2001 hanno consentito di stimare che si sono verificati circa 2.650.000 casi di influenza, pari ad un’incidenza di 46 casi/1000 abitanti; nella precedente stagione 1999-2000 la stima è stata di 5.200.000, per un’incidenza di 90 casi/1000 abitanti.
La classe d’età maggiormente colpita è stata, come atteso, quella 0-14 anni.
L’incidenza totale è stata molto bassa nel periodo compreso fra la 42a settimana del 2000 e la 3a settimana del 2001, con valori inferiori a 2 casi per 1000 assistiti.
Dalla 4a settimana l’incidenza è aumentata fino a raggiungere il picco epidemico nella 6a settimana del 2001, con un’incidenza di 5,5 casi per 1000 assistiti.
Dalla 7a settimana del 2001 si è osservato un decremento dell’incidenza. Complessivamente si è registrata un’incidenza media dimezzata rispetto all’anno precedente.
Anche l’incidenza per classi d’età ha mostrato valori inferiori rispetto alla stagione 1999/2000, con l’eccezione rappresentata dalla classe d’età 0-14 anni, in cui nelle due settimane di picco (6a e 7a del 2001), è stata registrata un’incidenza media rispettivamente di 21,6 e 20,7 casi per 1000 contro un’incidenza di 18,47 casi per 1000 durante la settimana di picco epidemico del 1999/2000. Nella classe d’età bersaglio degli interventi vaccinali sono state registrate incidenze costantemente più basse: nelle settimane di picco si sono registrati 1,4 ed 1,2 casi per 1000 mentre nelle settimane di picco della stagione precedente si sono registrate incidenze di 10,9 e 8,6 casi per 1000.
B.2 Mortalità (dati italiani).
La mortalità per influenza, pur rappresentando solo una parte del fenomeno, è sicuramente l’indicatore più robusto della severità della malattia ed è correlata, in generale, alla mortalità per cause respiratorie nei soggetti anziani. L’aumento di mortalità per influenza è associato ad un aumento di mortalità per bronchite, per polmonite e per cause cardiovascolari.
Dal 1969 al 1991, picchi di mortalità attribuibili all’influenza sono osservabili soprattutto negli anni 1969, 1970, 1972, 1973, 1975 e 1977. Nel periodo successivo, dal 1978 al 1991 si sono invece verificate epidemie influenzali più moderate con dei picchi di mortalità negli anni 1980, 1981, 1983.
Nel periodo 1969-91, l’epidemia di maggior entità è stata quella verificatesi nell’inverno del 1969-70, dopo l’introduzione del virus A H3N2 Hong Kong che ha provocato oltre 6.000 morti nel 1969 e oltre 5.000 morti nel 1970. Anche negli anni 1972, 1973, 1975, 1977, la mortalità per influenza è stata piuttosto elevata, superando i 1.500 morti l’anno. Negli anni 1971, 1976, 1980, 1981, 1983 e 1990 la mortalità si è invece mantenuta su livelli più bassi, compresi tra i 1.000 e i 1.500 l’anno. Negli anni rimanenti, non si sono verificate vere e proprie epidemie e la mortalità ha oscillato mediamente tra i 500 e i 600 morti l’anno. Nello stesso periodo i tassi grezzi di mortalità per influenza hanno oscillato tra 0,4 e 8/10.000, per la bronchite tra 21,4 e 31,9 /10.000, per la polmonite tra 7,5 e il 25,8/10.000, per le malattie cardiovascolari tra il 91,5 e 133,7/10.000. (Vedi figura)
  1. C) Messa in atto delle misure di prevenzione e controllo per mitigare gli effetti e ridurre morbosità, morbilità e mortalità da influenza.
È verosimile che, in una situazione pandemica, la prevenzione dell’influenza per mezzo della vaccinazione e/o dell’uso di agenti antivirali possa essere possibile solo in misura limitata. È perciò importante considerare anche i possibili mezzi con cui ridurre la trasmissione dell’infezione.
La riduzione di morbilità e mortalità da influenza si ottiene con la prevenzione, per quanto possibile, e con una ottimizzazione del trattamento dei casi.
C.1. Vaccinazione influenzale.
(omissis)
IDENTIFICAZIONE DELLE CATEGORIE
Testo del comunicato – Parte III
  1. Persone addette a servizi essenziali.
Personale sanitario di assistenza ai pazienti
Personale sanitario addetto ai servizi di diagnosi e cura, dipendenti dal SSN e da case di cura private
Medici di medicina generale e pediatri
Personale della sicurezza addetto ai servizi di vigilanza.
Polizia
Carabinieri
Finanza
Polizia penitenziaria
Polizia municipale
Totale
  1. Personale addetto a servizi di pubblica utilità.
Personale di assistenza case di riposo
Trasporti
Ferrovie
Altri trasporti pubblici (autobus – metropolitane)
Personale addetto ai servizi cimiteriali
Risorse ed energia
Enel produzione
Volontari servizi sanitari ed emergenza
Produzione e/o distribuzione prodotti prima necessità
Industrie a rischio di incidente rilevante
Totale
  1. Gruppi di popolazione da tutelare.
Persone età > 65 anni
Infezioni croniche età inferiore 65 anni
Diabetici di età inferiore 65 anni
HIV positivi
Donne in gravidanza
Persone da 0 a 14 anni
Totale
  1. Soggetti in età pediatrica (6 mesi-14 anni): questi soggetti sono considerati a rischio non solo perché sono particolarmente vulnerabili, ma costituiscono anche dei propagatori importanti della malattia considerando la loro più lunga contagiosità e l’impossibilità di controllare tosse/starnuti.
  2. Persone a rischio (gruppo 3): a seconda della disponibilità dei vaccini, questa tappa sarà simultanea o successiva alla vaccinazione delle persone prioritarie.
  3. Altre persone: se il quantitativo di vaccino disponibile è sufficiente, la vaccinazione delle persone in buona salute, permetterà di evitare le reazioni di panico e limitare il tasso di attacco in queste persone. Questo dovrebbe essere iniziato a partire dallo scenario 3. In caso di produzione insufficiente verrà effettuata la sola vaccinazione selettiva.
Anche se la vaccinazione potrà non costituire la prima misura da attuare, la vaccinazione resta comunque la misura più importante per efficacia protettiva e capacità di limitare la circolazione dell’infezione.
In caso di epidemia moderata (scenario 2), la vaccinazione potrebbe essere limitata alle sole persone a elevato rischio di malattia e addetta ai servizi essenziali, come già avviene annualmente nelle situazioni intraepidemiche.
In caso di epidemia grave (scenario 3) o di situazione catastrofica (scenario 4) la vaccinazione dovrebbe essere resa disponibile a tutte le persone, per cui devono essere individuate le modalità organizzative che consentano la vaccinazione di un elevatissimo numero di persone in un breve periodo di tempo dalla disponibilità del vaccino.
Se la disponibilità di vaccino impedisse di poter proteggere tutta la popolazione, e ci si debba orientare verso la vaccinazione selettiva, fermo restando la necessità di privilegiare la vaccinazione del personale addetto allo svolgimento dei servizi essenziali, l’ordine di vaccinazione che porterà al migliore utilizzo del vaccino disponibile sarà definito anche alla luce delle informazioni disponibili sulle caratteristiche della epidemia.
In caso di risorgenza (riemergenza di un ceppo che circolato in passato, la scelta delle persone da vaccinare potrà basarsi sulla età delle persone in funzione dell’anno di scomparsa del virus.
La distribuzione del vaccino e la gestione delle vaccinazioni sarà di esclusiva competenza delle strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale o delle altre amministrazioni direttamente interessate, a garanzia del rispetto delle priorità e dell’equità.
C.5. Farmaci antivirali.
Per la profilassi ed il trattamento delle infezioni da virus influenzali è possibile l’impiego di farmaci ad azione antivirali, appartenenti a due diverse classi, raramente usati a questo scopo a causa dei severi effetti collaterali e non tutti commercializzati in Italia. È probabile che anche tali farmaci siano insufficienti (rimantadina e oseltamivir a tutt’oggi non sono registrati in Italia, ma sono citati per completezza di informazione). I medici saranno informati della politica nazionale riguardo al loro uso in alternativa o come complemento alla vaccinazione.
Amantadina e rimantadina appartengono agli Inibitori della M2, attivi esclusivamente nei confronti dei virus influenzali appartenenti al tipo A, ma soltanto la prima è commercializzata in Italia, con specifiche autorizzazioni per l’impiego per la profilassi e la terapia dell’influenza.
Zanamivir ed oseltamivir appartengono agli inibitori della neuraininidasi; tali farmaci, di cui solo lo zanamivir è commercializzato in Italia, sono efficaci nei confronti sia dei virus di tipo A che di quelli del tipo B, ma sono stati autorizzati all’immissione in commercio esclusivamente per la terapia dell’influenza negli adulti e nei ragazzi di età superiore a 12 anni, che presentino sintomi tipici della malattia. Non sono stati invece autorizzati per il trattamento profilattico, anche se ne è stato segnalato un certo grado di efficacia a scopo preventivo.
I farmaci antivirali in questione riducono di circa un terzo la durata dell’influenza non complicata ma, ai fini della riuscita del trattamento, questo deve essere iniziato al più presto possibile, e comunque entro due giorni dall’insorgenza dei sintomi.
Non è stata dimostrata l’efficacia dei farmaci antivirali a base di zanamivir, così come degli altri antivirali (amantadina compresa) nella riduzione delle complicanze maggiori dell’influenza, quali le polmoniti batteriche o virali o l’esacerbazione delle patologie croniche di base, nei soggetti a rischio.
È stata notata l’emergenza di ceppi influenzali mutanti resistenti in pazienti trattati con farmaci appartenenti ad entrambe le classi di antivirali; anche se questo non costituisce, attualmente, un problema di sanità pubblica, potrebbe diventarlo in seguito ad un uso non appropriato e su larga scala dei farmaci antivirali.
Tali farmaci non devono essere considerati un’alternativa alla vaccinazione, ma possono comunque risultare utili nei casi di controindicazione alla vaccinazione influenzale e nelle persone che non si sono vaccinate per tempo, contribuendo essenzialmente a ridurre la durata della malattia e in una certa misura anche a ridurre la diffusione di virus influenzali da malati a sani.
La amantadina non interferisce con la risposta anticorpale, essa può essere consigliata anche a persone ad alto rischio di complicazioni che non abbiano ancora ricevuto il vaccino al momento dell’inizio dell’epidemia influenzale; la chemioprofilassi fornisce in questi casi una protezione passiva nel tempo necessario per la produzione di anticorpi.
La somministrazione deve iniziare prima o immediatamente dopo l’esposizione a contagio e protrarsi per non meno di 6-7 giorni, ma non oltre.
C.5.1. Indicazioni e precauzioni per l’uso della amantadina.
(omissis)
C.5.2. Confronto tra diversi farmaci antivirali per il trattamento dell’influenza.
(omissis)
C.6. Vaccino pneumococcico.
(omissis)
  1. D) Trattamento dei casi.
(omissis)
  1. E)
È prioritario nella redazione del Piano il ritorno delle informazioni e la gestione delle informazioni, che deve essere stabilita nelle modalità dei Piani regionali.
Si dovrà provvedere, per gli operatori sanitari sul territorio, alla diramazione continua di bollettini sull’evoluzione della pandemia e sulle misure intraprese, nonché sulle informazioni da fornire alla popolazione.
  1. FMedici di famiglia.
I medici di famiglia (medici di medicina generale o pediatri di famiglia) – MDF – costituiscono uno degli elementi fondamentali della rete assistenziale che dovrà costituirsi per garantire una efficace assistenza alla popolazione. È impensabile, d’altra parte, che le strutture pubbliche o private possano garantire da sole una efficace assistenza.
Ad essi compete, con la rete dei medici sentinella che si sta costituendo in tutte le regioni, l’identificazione precoce dei primi focolai di infezione, al fine di consentire l’attuazione tempestiva delle misure di intervento previste nelle prime fasi della pandemia. Sarà loro cura, inoltre, di identificare preventivamente i soggetti a rischio di maggiori complicanze sui quali si dovrà intervenire, con la vaccinazione influenzale ed eventualmente pneumococcica o con specifici chemioterapici antinfluenzali, anche se vaccinati, in presenza di virus ad alta virulenza.
Agli stessi medici di famiglia, infine, spetterà il compito di contribuire a ridurre l’allarme nella popolazione consigliando i pazienti ed adottando tutti gli interventi sanitari che permettano di ridurre al minimo i ricoveri ospedalieri, che dovranno essere riservati soltanto ai casi più gravi.
  1. GPiano nazionale di azione.
Il piano d’azione è elaborato in funzione di due criteri principali:
  1. a) la progressione della pandemia nel tempo e nello spazio;
  2. b) la virulenza e capacità di diffusione del virus.
La scelta di uno scenario non è mai definitiva e dipende dalla evoluzione degli indicatori utilizzati.
Questi ultimi devono essere tali da fornire, in tempi sufficientemente rapidi, dati che permettano di adottare le misure necessarie in tempo utile.
G.1. Definizione delle fasi identificabili nella emergenza di una pandemia (vedi Allegato 1: Schede fasi piano pandemico).
Fase 0
Periodo interpandemico
Fase 1
Comparsa di un virus influenzale con una nuova emoagglutinina e/o neuraminidasi (nuovo virus) fuori dall’Italia (Allerta pandemico)
Fase 2
Focolai di influenza causati dal nuovo virus fuori dall’Italia
Fase 3
Nuovo virus influenzale isolato in Italia: pandemia imminente
Fase 4
Influenza pandemica in Italia
Fase 5
Fine della pandemia
L’intervallo tra le fasi 1 e 4 è impossibile da prevedere. La minaccia di una pandemia può non andare oltre la fase 1, come è accaduto con l’influenza suina negli Stati Uniti nel 1976 e con l’influenza H5N1 ad Hong Kong nel 1997. L’intervallo di tempo critico è quello tra le fasi 2 e 3, dal quale dipenderà, per l’Italia, la disponibilità o meno di un vaccino in tempo utile. Nell’eventualità che il nuovo virus compaia per la prima volta in Italia, il piano d’azione partirà direttamente dalla fase 3.
Le fasi 1 e 2 corrispondono alla fase 0, livelli di preparazione 1-2-3 del Piano pandemico dell’Organizzazione mondiale della Sanità.
Le fasi 3-4-5 corrispondono alle fasi 1-2-3-4-5 del Piano O.M.S. (vedi Allegato 3).
G.2. Principali istituzioni e strutture coinvolte.
 
Ministero della Sanità.
Direzione generale della prevenzione.
Direzione generale per la valutazione dei medicinali e la farmacovigilanza.
Direzione generale degli alimenti e nutrizione e della sanità pubblica veterinaria.
Istituto superiore di Sanità.
Laboratorio di epidemiologia e biostatistica.
Laboratorio di virologia.
Laboratorio di medicina veterinaria.
Laboratorio di batteriologia e micologia medica.
Regioni.
Assessorati alla Sanità.
Autorità sanitarie locali (AA.SS.LL.).
Direzione generale di prevenzione.
Ospedali.
Medici di medicina generale – Pediatri di famiglia.
Università.
 
Testo del comunicato – Parte IV
Fase
Caratterizzata da:
Azioni da intraprendere da parte di:
Fase 0
MINISTERO DELLA SALUTE
DGP
– Sorveglianza epidemiologica dell’influenza e delle forme simili-influenzali
Periodo inter- pandemico
– Emanazione della Circolare annuale contenente indicazioni sui ceppi che verranno utilizzati nella costituzione dei vaccini impiegati nella stagione seguente e le raccomandazioni per l’esecuzione della vaccinazione e categorie particolari ed a soggetti di età superiore o uguale ai 65 anni.
– Registrazione reazioni avverse a vaccino
– Contatti con Paesi dell’UE con l’OMS
Circolazione epidermica o sub-epidemica di virus
– Discussione con i produttori e con l’ISS e verifica della immunogenicità dei vaccini sulla base degli studi previsti
influenzali nella popolazione
– Organizzazione di attività di formazione rivolta ai referenti regionali, cui sono affidate le attività di controllo dell’influenza, per facilitare la stesura dei Piani d’emergenza regionali, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità.
DGANSPV
Sorveglianza epidemiologica e di controllo delle malattie trasmissibili nella comunità animale
Realizzazione di una rete informatica fra servizi veterinari e osservatori epidemiologici periferici
Riunione annuale del Comitato
Programmi di formazione e addestramento degli operatori sanitari
Elaborazione di norme ed internazionali per import-export animali e prodotti, controlli, etc.
Collegamenti con associazioni di categoria (ANAS, UNA, UNIRE), con le organizzazioni e le autorità locali, nazionali, internazionali, con i dipartimenti dei servizi sociali, etc.
Supervisione dell’operatività delle strutture centrali e periferiche e degli interventi coordinati con le strutture di Salute pubblica nazionale ed internazionale (OIE/OMS/UE)
DGVMF
– Individuazione di un gruppo di lavoro operativo ad hoc da attivare (in Fase 1) in caso di pandemia
– Collaborazione con le Autorità sanitarie internazionali, dell’UE e degli Stati membri
– Discussione delle problematiche attinenti alla produzione e all’immissione in commercio del vaccino influenzale, nella formulazione annuale, con l’ISS e con le aziende farmaceutiche
– Valutazione della immunogenicità e tollerabilità (efficacia e sicurezza) della formulazione annuale del vaccino influenzale per ciascun singolo prodotto medicinale e relativa autorizzazione all’immissione in commercio con procedura nazionale od europea (autorizzazione della variazione di composizione)
– Valutazione della immunogenicità e tollerabilità (efficacia e sicurezza) del vaccino influenzale per eventuali nuovi prodotti medicinali e relativa autorizzazione all’immissione in commercio con procedura nazionale od europea (autorizzazione di nuovi prodotti)
Valutazione dell’efficacia e sicurezza di eventuali nuovi farmaci antivirali e relativa autorizzazione all’immissione in commercio
– Valutazione dell’efficacia e sicurezza di eventuali nuovi farmaci utilizzabili nel trattamento delle complicanze dell’influenza e relativa autorizzazione all’immissione in commercio
Monitoraggio della capacità produttiva e distributiva di vaccino influenzale, farmaci antivirali, farmaci utilizzabili nel trattamento delle complicanze dell’influenza
– Individuazione, in àmbito nazionale ed europeo, dei possibili meccanismi di accelerazione delle procedure di autorizzazione all’immissione in commercio del vaccino influenzale e di semplificazione delle procedure di controllo di Stato attivabili in caso di pandemia
– Individuazione, in collaborazione con le aziende distributrici, dei possibili meccanismi di accelerazione della distribuzione del vaccino influenzale, di farmaci antivirali e di farmaci utilizzabili nel trattamento delle complicanze dell’influenza attivabili in cado di pandemia
Fase 0
– Individuazione, in collaborazione con le Regioni, dei possibili meccanismi di accelerazione delle procedure di acquisto del vaccino influenzabile attivabili in caso di pandemia
Periodo inter- pandemico
Circolazione epidemica o sub-epidermica di virus influenzali nella popolazione umana
– Attività ispettiva sulle officine di produzione (controllo della qualità)
– Attività di sorveglianza sul commercio (controllo della qualità)
– Attività di farmacovigilanza (controllo della sicurezza)
ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
LEB
– Sorveglianza degli indicatori della circolazione dei virus influenzali. Indagini ad hoc per la stima delle coperture vaccinali
LV
– Caratterizzazione dei ceppi di virus influenzali isolati nell’uomo in Italia in collaborazione con i LabPer
– Addestramento tecnico del personale operante nei LabPer
– Accreditamento qualitativo dei Laboratori Periferici
– Standardizzazione tecniche di diagnosi rapida alternative all’isolamento
– Collaborazione con il centro mondiale dell’OMS per la definizione della composizione annuale del vaccino
– Studio dei virus circolanti negli ospiti animali con particolare riferimento alle specie coinvolte nell’emergenza di pandemie nell’uomo
– Controllo di stato dei vaccini antinfluenzali e collaborazione con EMEA, con i laboratori di controllo europei e con le ditte produttrici di vaccini
LMV
– Monitoraggio sierologico e virologico dei ceppi isolati nelle diverse specie animali nonché dell’andamento dei focolai di influenza e infezioni similari di origine virale nelle diverse specie recettive, in particolare aviarie e nei suini
– Sorveglianza epidemiologica anche promuovendo studi epidemiologici (clinici e molecolari) tesi a favorire l’acquisizione di informazioni utili all’accertamento delle caratteristiche dei virus isolati e della loro diffusione nel corso delle stagioni inter-epidemiche/epidemiche
– Controllo e messa a punto di specifici prodotti immunizzanti
– Partecipazione alla stesura dei piani di emergenza in àmbito veterinario
LBMM
– Valutazione della sensibilità agli antibiotici degli isolati batterici provenienti da complicanze polmonari da influenza
I Laboratori dell’ISS collaborano con il Ministero della Salute alle iniziative di formazione necessarie per la migliore conduzione del Piano
REGIONE e Aziende Sanitarie Locali
Assessorato alla Sanità
– Recepimento circolare ministeriale sulla campagna vaccinale antinfluenzale
– Gestione dell’offerta della vaccinazione antinfluenzale alle categorie previste dalla circolare
Organizzazione e gestione di sistemi locali, incluse le reti di medici sentinella, per la sorveglianza epidemiologica e virologica dell’influenza in campo umano e veterinario
– Individuazione dei LabPer di riferimento
– Stesura del Piano d’emergenza regionale con particolare riferimento alla parte operativa locale
Fase 0
– Rilevazione copertura vaccinale
– Rilevazione ricoveri/decessi stagione influenzale
AUSL
Periodo inter- pandemico
– Notifica dei casi di influenza (secondo criteri classe I o V – D.M. 15 dicembre 1990)
– Esecuzione delle vaccinazioni
– Attuazione misure di profilassi
– Raccolta e trasmissione dati sui casi di reazioni avverse a vaccino
LabPer
– Monitoraggio della malattia influenzale sul territorio
– Isolamento dei ceppi di virus influenzale da inviare al LV
Fase
Caratterizzata da:
Azioni da intraprendere da parte di:
MINISTERO DELLA SALUTE
DGP
– Sorveglianza epidemiologica
Riunione Comitato per informazioni e consigli sulle modalità di risposta all’emergenza
Fase 1
Comparsa di un nuovo ceppo virale influenzale nell’uomo fuori dall’Italia
– Contatti con i produttori di vaccini, farmaci antibiotici, antivirali ed altri farmaci essenziali (attività integrata con DGVMF) per definire le modalità di acquisto e distribuzione
– Preparazione con le Regioni delle modalità di coordinamento per l’acquisto e la distribuzione dei vaccini ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1998
– Produzione di materiale informativo destinato alle Regioni per gli operatori sanitari
Riunioni del Comitato
– Preparazione e gestione della campagna informativa
DGANSPV (Come in fase 0)
DGVMF
Attivazione del gruppo di lavoro operativo ad hoc
– Collaborazione con le Autorità sanitarie internazionali, dell’UE e degli Stati membri
Quando un nuovo virus influenzale con un potenziale pandemico è isolato in un altro Paese, l’OMS informa il Centro Nazionale per l’Influenza presso il LV dell’ISS ed il MINSAL affinché vengano prese le misure di emergenza utili a facilitare l’attivazione del Piano pandemico nazionale
– Predisposizione in àmbito nazionale ed europeo, dei possibili meccanismi di accelerazione delle procedure di autorizzazione all’immissione in commercio del vaccino influenzale attivabili in caso di pandemia
– Predisposizione, in collaborazione con l’ISS e le aziende produttrici, dei possibili meccanismi di accelerazione/incremento della produzione del vaccino influenzale, di farmaci antivirali e di farmaci utilizzabili nel trattamento delle complicanze dell’influenza attivabili in caso di pandemia e relativo monitoraggio della capacità produttiva
– Predisposizione, in collaborazione con le aziende distributrici, dei possibili meccanismi di accelerazione della distribuzione del vaccino influenzale, di farmaci antivirali e di farmaci utilizzabili nel trattamento delle complicanze dell’influenza attivabili in caso di pandemia e relativo monitoraggio della capacità distributiva
– Predisposizione, in collaborazione con le Regioni, dei possibili meccanismi di accelerazione delle procedure di acquisto del vaccino influenzale attivabili in caso di pandemia
– Elaborazione di materiale informativo destinato alle Regioni per gli operatori sanitari attinenti agli aspetti farmacoterapeutici maggiormente rilevanti in caso di pandemia
– Elaborazione di comunicati stampa attinenti agli aspetti farmacoterapeutici maggiormente rilevanti in caso di pandemia
ISTITUTO SUPERIORE DELLA SANITÀ
LEB
– Raccolta, interpretazione e distribuzione dei dati di sorveglianza umana da varie fonti, inclusa l’OMS
LV
– Intensificazione delle attività di sorveglianza virologica per l’isolamento e la caratterizzazione del nuovo sottotipo virale sul territorio nazionale
– Relazione a livello nazionale (altri laboratori ISS, Ministero della Salute, Regioni, etc.) sulle informazioni in suo possesso relative alla comparsa del nuovo ceppo influenzale
– Valutazione con il Ministero della Salute delle eventuali strategie vaccinali (disponibilità di un idoneo ceppo vaccinale, potenzialità di preparazione di lotti di vaccino a livello nazionale ed internazionale, definizione delle priorità di vaccinazione, procedure abbreviate per il controllo di Stato)
– Individuazione delle eventuali strutture laboratoristiche di contenimento per la manipolazione dei nuovi virus
– Coordinamento con l’OMS, l’EMEA, le altre Autorità di controllo Nazionali ed i produttori di vaccini
LMV
Comparsa di un nuovo ceppo virale influenzale nell’uomo fuori dall’Italia
– Monitoraggio sierologico e virologico dell’influenza e di patologie infettive simil-influenzali nelle diverse specie animali recettive con particolare riferimento alle specie eventualmente coinvolte nel caso.
REGIONI e UNIVERSITÀ
Assessorato alla Sanità
– Attuazione del Piano d’emergenza
– Diramazione di un protocollo operativo per le AUSL e le AOSP
– Individuazione delle strutture, sanitarie e non, per la distribuzione gratuita dei vaccini
– Contatto con le associazioni mediche ed infermieristiche di categoria per reclutamento di personale da impiegare nell’esecuzione delle vaccinazioni
– Individuazione delle figure referenti per flusso informazioni da periferia a centro
LabPer
– Intensificano l’attività di sorveglianza sulla circolazione dei ceppi influenzali
– Seguono l’andamento della malattia influenzale, isolano i ceppi, eseguono indagini sieroepidemiologiche, riportano dati d’incidenza al LEB e inviano i virus al LV.
Testo del comunicato – Parte V
Fase
Caratterizzata da:
Azioni da intraprendere da parte di:
MINISTERO DELLA SALUTE
Fase 2
Focolai causati dal nuovo virus al di fuori dell’Italia
DGP
– Sorveglianza epidemiologica
– Recepimento delle raccomandazioni dell’OMS con emanazione di una circolare per le indicazioni sulla composizione e l’uso dei vaccini, qualora disponibili (dosi, schedule) e per il migliore utilizzo degli antivirali disponibili contro il nuovo virus
– Informazioni ai viaggiatori che si rechino o che arrivano da zone già colpite
– Richiesta formale ai produttori per lo sviluppo e la produzione di vaccini contenenti il nuovo ceppo, indicando la quantità di vaccino necessaria
– Discussione modalità per l’accelerazione della produzione
– Produzione linee-guida informative
DGANSPV (Come in fase 0)
L’OMS dichiara ufficialmente l’inizio di una nuova pandemia influenzale
DGVMF
– Collaborazione con le Autorità sanitarie internazionali, dell’UE e degli Stati membri
– Collaborazione con l’ISS per la messa a punto dei trials pre-clinici e clinici dei vaccini contro il nuovo ceppo
– Attivazione in àmbito nazionale ed europeo, dei possibili meccanismi di accelerazione delle procedure di autorizzazione all’immissione in commercio del vaccino antinfluenzale
– Valutazione della immunogenicità e tollerabilità (efficacia e sicurezza) del vaccino contro il nuovo virus e relativa autorizzazione all’immissione in commercio con procedura nazionale od europea (autorizzazione della variazione di composizione)
– Richiesta alle aziende produttrici, di attivazione dei possibili meccanismi di accelerazione/incremento della produzione del vaccino influenzale, di farmaci antivirali e di farmaci utilizzabili nel trattamento delle complicanze dell’influenza e relativo monitoraggio della capacità produttiva
– Richiesta alle aziende distributrici, di attivazione dei possibili meccanismi di accelerazione della distribuzione del vaccino influenzale, di farmaci antivirali e di farmaci utilizzabili nel trattamento delle complicanze dell’influenza e relativo monitoraggio della capacità distributiva
– Richiesta, alle Regioni, di attivazione dei possibili meccanismi di accelerazione delle procedure di acquisto del vaccino influenzale
ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
LEB/LV secondo competenza
– come in Fase 1
– Identificazione di eventuali candidati per la produzione di un vaccino contro il nuovo ceppo influenzale
– Messa a punto di trials pre-clinici e clinici dei vaccini contro il nuovo ceppo, attraverso l’identificazione dei centri abilitati a svolgere quei trials e di un gruppo tecnico consultivo responsabile del disegno
– Coordinamento e svolgimento dei trials
– Messa a punto di piani per la produzione di vaccino contro il nuovo virus
– Controllo di Stato sui lotti di vaccino monovalente
– Intensificazione dei contatti a livello internazionale ed europeo (OMS ed EMEA) per gli aspetti virologici e di produzione dei vaccini
– Allerta dei propri centri Periferici di Collaborazione
– Identificazione sul territorio nazionale di eventuali altri Laboratori in grado di collaborare all’accertamento diagnostico dei casi di influenza, con particolare riferimento a quelli dotati di strutture di contenimento del rischio biologico (P3)
– Partecipazione ad incontri in àmbito sovranazionale per la predisposizione di strategie operative comuni da adottare in àmbito internazionale e comunitario
REGIONI e UNIVERSITÀ
Fase 2
Focolai causati dal nuovo virus al di fuori dell’Italia
Assessorato alla Sanità
– Stime sul ricorso all’ospedalizzazione ed organizzazione dei ricoveri
LabPer
– Intensificazione delle indagini di laboratorio sulle sindromi di tipo influenzale
Testo del comunicato – Parte VI
Fase
Caratterizzata da:
Azioni da intraprendere da parte di:
Fase 3
Primo isolamento del virus in Italia
MINISTERO DELLA SALUTE
DGP
– Sorveglianza epidemiologica
– Esame dei dati clinici disponibili sui tassi specifici d’attacco per età e sulle complicazioni dell’influenza
– Accordo con i produttori di farmaci sulle disponibilità per le forniture degli antibiotici e di altri farmaci essenziali
– Emanazione di circolari con informazioni sulla possibilità della pandemia e richiami alle Autorità regionali circa la necessità dell’attuazione del piano pandemico, eventualmente aggiornato
– Distribuzione di linee-guida informative per gli operatori sanitari
– Conferenze stampa e consigli per la popolazione
– Informazioni alla popolazione sui rischi dei viaggi in zone già colpite in Italia
DGANSPV (Come in fase 0)
DGVMF
– Intensificazione del monitoraggio della capacità produttiva e distributiva di vaccino influenzale, farmaci antivirali, farmaci utilizzabili nel trattamento delle complicanze dell’influenza
– Intensificazione delle attività di controllo della qualità e sicurezza del nuovo vaccino influenzale
– Diffusione del materiale informativo destinato alle Regioni per gli operatori sanitari attinente agli aspetti farmacoterapeutici maggiormente rilevanti in caso di pandemia
– Diffusione dei comunicati stampa attinenti agli aspetti farmacoterapeutici maggiormente rilevanti in caso di pandemia
– Collaborazione con l’ISS e con le aziende farmaceutiche per l’immediata autorizzazione delle modifiche di composizione del vaccino che dovessero essere necessarie a causa di eventuali cambiamenti antigenici
ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
– Coordinamento proprie unità interne (LEB, LV, LMV) per fronteggiare la possibile emergenza
– Contatto stretto con il Centro per l’influenza dell’OMS e di Ginevra di Londra e con l’EMEA:
diagnosi dei casi, informazioni sull’andamento epidemico, sulla diffusione e sulla gravità
– discussione delle iniziative a livello comune europeo
definizione di linee-guida per la gestione della pandemia, con particolare riguardo a tipi di sorveglianza in grado di documentare meglio la diffusione e l’impatto del nuovo virus
– definizione dei gruppi a più alto rischio di contrarre l’infezione o di sperimentare un quadro clinico severo
– valutare il miglior trattamento dei casi
LV
– Intensificazione delle attività di sorveglianza virologica, con particolare riferimento all’identificazione dei ceppi virali pandemici sul territorio nazionale
– Accordo con il Ministero della Salute sulle misure da adottare per il contenimento della diffusione del nuovo ceppo pandemico
– Esecuzione del controllo di Stato dei vaccini antinfluenzali prodotti in Italia, se disponibili, secondo procedure abbreviate previamente stabilite dal Ministero della Salute
REGIONI e Aziende Sanitarie Locali
Fase 3
Primo isolamento del virus in Italia
Assessorato alla Sanità
– Acquisto e distribuzione del vaccino (appena disponibile)
– Comunicazione dati sulla sorveglianza delle reazioni avverse a vaccino
AUSL
– Esecuzione gratuita della vaccinazione antinfluenzale alle categorie stabilite come prioritarie
– Coordinamento delle strutture, sanitarie e non, nelle quali vengono eseguite le vaccinazioni
– Sorveglianza delle reazioni avverse a vaccino
– Indicazioni per il personale sanitario per la gestione dei pazienti e dei ricoveri
LEBper (Come in fase 2)
Fase
Caratterizzata da:
Azioni da intraprendere da parte di:
MINISTERO DELLA SALUTE
DGP
– Sorveglianza epidemiologica
– Monitoraggio nel corso dell’epidemia degli eventuali problemi di disponibilità dei
Fase 4
Pandemia di influenza in Italia
farmaci e vaccini
– Sorveglianza delle reazioni avverse a vaccino
– Conferenza stampa
– Linee-guida agli operatori sanitari sulle informazioni da fornire al pubblico
Il Comitato si riunisce e valuta la situazione di emergenza
DGANSPV (Come in fase 0)
DGVMF (Come in fase 3)
ISTITUTO SUPERIORE DELLA SANITÀ
LEB
LV
– Caratterizzazione degli isolati virali più recenti per individuare eventuali cambiamenti antigenici
– Coordinamento con il MINSAN, gli altri Laboratori di controllo ed i produttori di vaccino
LBMM
– Sorveglianza sui patogeni batterici e sulla sensibilità agli antibiotici associata con infezioni severe/fatali
REGIONE e UNIVERSITÀ
Assessorato e Sanità
– Comunicazione dati su andamento e gestione epidemia
– Sorveglianza reazioni avverse a vaccino
– Dati su ospedalizzazioni/decessi
LabPer (Come in fase 2)
– Relazione sui patogeni batterici e sulla sensibilità agli antibiotici associata con infezioni severe/fatali
Fase
Caratterizzata da:
Azioni da intraprendere da parte di:
MINISTERO DELLA SALUTE
DPG
– Come in fase 3 e 4
Fase 5
Fine della prima ondata pandemica in Italia; ulteriori ondate pandemiche; fine della pandemia
– Continuazione della campagna vaccinale mirante, in questa fase, a coprire le più ampie fasce di popolazione, in vista di una ulteriore ondata epidemica
DGVMF
– Come in fase 4
In questa Fase gli Indicatori epidemiologici della pandemia in Italia saranno tornati ai livelli basali.
ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
LEB
Tuttavia focolai ed epidemie del nuovo virus saranno ancora in corso in altri Paesi
LV
– Proseguimento dell’attività di sorveglianza virologica
– Controllo di Stato su ulteriori lotti di vaccino antinfluenzale
Sulla scorta della esperienza passata, è da prevedere il verificarsi di almeno una successiva ondata di focolai causati dal nuovo virus, a distanza di 3-9 mesi della epidemia iniziale
– Attività come in fase 3 e 4
LabPer
– Proseguimento del monitoraggio dei casi di sindrome simil-influenzale che continuano a verificarsi
Il Comitato
– Valuta l’efficacia ed i risultati dalla massa in atto del piano in questa fase
– Tuttavia il monitoraggio, sia degli indicatori epidemiologici che di quelli virologici, rimarrà in stato di allerta
L’OMS dichiara estinta la pandemia. Tale evento, prevedibile nell’arco di 2-3 anni dal primo isolamento del nuovo ceppo si verifica quando gli indicatori dell’attività influenzale saranno tornati a livelli interpandemici basali in tutto il mondo, e l’immunità verso il nuovo sottotipo virale si sarà ampiamente diffusa nella Popolazione
– Prepara una relazione per valutare l’efficacia e le lezioni apprese dalla messa in atto del piano, tenendo anche conto delle indicazioni fornite da comitati di esperti riuniti dall’OMS e relative all’impatto globale della pandemia
– Aggiorna, in conseguenza, il piano nazionale pandemico
Ritorno alla Fase 0
Ritorno alla Fase 0
Ritorno alla Fase 0

Il livello di dettaglio delle previsioni appena riprodotte non mancherà di colpire chi abbia avuto la curiosità e la pazienza di scorrerle, seguendo l’articolazione attraverso la quale i redattori del documento, espressione delle alte competenze tecniche che lo Stato aveva chiamato a guidare prospetticamente l’agire della sua macchina amministrativa in ambito sanitario, pre-vedevano lo scenario di rischio pandemico e pre-disponevano, indicandoli partitamente, i rimedi e gli accorgimenti organizzativi necessari a fronteggiarlo in modo ottimale.

Il Piano del 2001 appena riprodotto nella sua integralità fu oggetto di aggiornamento nel 2006, seguendo le ulteriori indicazioni nel frattempo elaborate dall’OMS[44].

Come il precedente, esso rappresentava il riferimento nazionale in base al quale avrebbero dovuto essere messi a punto i Piani operativi regionali. Articolato secondo le 6 fasi pandemiche dichiarate dall’OMS, prevedendo per ogni fase e livello obiettivi ed azioni, il Piano contiene in allegato le linee guida da seguire nella redazione dei Piani pandemici regionali. Si prevedeva, infine, che le linee guida nazionali per la conduzione delle ulteriori azioni previste sarebbero state emanate a cura del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) come allegati tecnici al Piano e che queste linee guida sarebbero state periodicamente aggiornate ed integrate.

5.3. IL «CASO LOMBARDIA», FRA DETTAGLIATI PIANI PANDEMICI REGIONALI DIMENTICATI E AGENZIE REGIONALI PER L’EMERGENZA/URGENZA RIDIMENSIONATE

A partire dalla devoluzione delle competenze avvenuta come per tutte le regioni ordinarie nel 1972, l’assetto della sanità regionale lombarda, fra cui gli obblighi assunti dalla regione rispetto ai suoi cittadini, è stato scandito dalla legislazione regionale. Senza riscostruire i passaggi più risalenti di questa produzione legislativa, la l.r. 11 luglio 1997, n. 31, recante «Norme per il riordino del Servizio sanitario regionale e sua integrazione con le attività dei servizi sociali», si apriva statuendo che:

«Nel rispetto della dignità della persona umana e del diritto costituzionale alla tutela della salute, esercitato secondo le modalità previste dalla presente legge, nonché attraverso la facoltà di libera scelta del cittadino, secondo le modalità stabilite dalla programmazione regionale e provinciale, la Regione, riconoscendo la piena parità dei diritti e dei doveri tra soggetti erogatori a contratto a carico del servizio sanitario regionale, disciplina il Servizio sanitario regionale e i servizi socio-assistenziali stabilendo i principi in base ai quali:
  1. a) sono determinati gli ambiti territoriali delle Aziende sanitarie;
  2. b) viene riordinata la rete delle strutture ospedaliere;
  3. c) sono definite le funzioni e i compiti delle Aziende;
  4. d) viene promossa e favorita l’integrazione delle funzioni sanitarie con quelle socio-assistenziali di competenza degli enti locali, fermo restando il finanziamento a carico del Fondo sanitario regionale, ai sensi dell’art. 30 della L. 27 dicembre 1983, n. 730, delle attività socio-assistenziali di rilievo sanitario svolte nelle strutture, presidi e servizi assistenziali (omissis);
  5. e) concorrono alla realizzazione della integrazione socio-sanitaria gli enti pubblici, gli enti non profit e i soggetti privati, secondo le specifiche loro peculiarità. È promossa la piena parità di diritti e di doveri fra soggetti erogatori accreditati di diritto pubblico e di diritto privato, nell’ambito della programmazione regionale.

Fu nella vigenza di questo assetto normativo della sanità regionale che il Consiglio regionale della Regione Lombardia adottò il 2 ottobre 2006, con propria delibera n. VIII/216, un «Piano Pandemico Regionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale secondo le direttive del Ministero della Salute»[45], ovvero quelle indicate nel Piano nazionale che aveva aggiornato nel 2006 le indicazioni del Piano del 2001 riprodotto due paragrafi fa. Anche in questo caso, per la sua importanza, mette conto riportare il documento nella sua integralità (i neretti sono aggiunti).

Presidenza del Vice Presidente Lucchini
IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA
Visto l’art. 1 della L.R. n. 31/97;
Premesso che, negli ultimi anni, è diventato più concreto e persistente il rischio di una pandemia influenzale, da quando cioè i focolai di influenza aviaria da virus A/H5N1 sono divenuti endemici nei volatili nell’area estremo orientale, ed il virus ha causato infezioni gravi anche negli uomini;
Dato atto che l’OMS ha raccomandato a tutti i Paesi di mettere a punto un Piano Pandemico e di aggiornarlo costantemente seguendo le linee guida concordate;
Visto il documento «Accordo, ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, per un Piano nazionale di preparazione e risposta per una pandemia influenzale» rep. n. 2479 del 9 febbraio 2006, stilato dal Ministero della Salute secondo le indicazioni dell’OMS del 2005;
Preso atto che tale Piano:
– aggiorna e sostituisce il precedente Piano italiano multifase per una pandemia influenzale, pubblicato nel 2002;
rappresenta il riferimento nazionale in base al quale saranno messi a punto i Piani operativi regionali;
– si sviluppa secondo le sei fasi pandemiche dichiarate dall’OMS, prevedendo per ogni fase e livello, obiettivi ed azioni;
– contiene, come allegato le linee guida per la stesura dei Piani pandemici regionali;
– prevede come allegati tecnici le linee guida nazionali per la conduzione delle ulteriori azioni che saranno emanate, a cura del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) e saranno periodicamente aggiornate ed integrate;
Atteso che il Piano nazionale individua i seguenti obiettivi:
– identificare, confermare e descrivere rapidamente casi di influenza causati da nuovi sottotipi virali, in modo da riconoscere tempestivamente l’inizio della pandemia;
– minimizzare il rischio di trasmissione e limitare la morbosità e la mortalità dovute alla pandemia;
– ridurre l’impatto della pandemia sui servizi sanitari e sociali ed assicurare il mantenimento dei servizi essenziali;
– assicurare un’adeguata formazione del personale coinvolto nella risposta alla pandemia;
– garantire informazioni aggiornate e tempestive per i decisori, gli operatori sanitari, i media ed il pubblico;
– monitorare l’efficienza degli interventi intrapresi;
Preso atto che per il raggiungimento di tali obiettivi sono previste le seguenti azioni:
– migliorare la sorveglianza epidemiologica e virologica;
– attuare misure di prevenzione e controllo dell’infezione (misure di sanità pubblica, profilassi con antivirali, vaccinazione);
– garantire il trattamento e l’assistenza dei casi;
– mettere a punto un piano di formazione;
– preparare adeguate strategie di comunicazione;
– monitorare l’attuazione delle azioni pianificate per fase di rischio, le risorse esistenti per la risposta, le risorse aggiuntive necessarie, l’efficacia degli interventi intrapresi; il monitoraggio deve avvenire in maniera continuativa e trasversale, integrando ed analizzando i dati provenienti dai diversi sistemi informativi;
Ritenuto che il Piano regionale che da questo discende deve ricalcare gli stessi obiettivi ed azioni;
Considerato che sulla base di quanto sopra richiamato, la Direzione Generale Sanità, attraverso il coordinamento della U.O. Prevenzione, Tutela Sanitaria e Veterinaria e la collaborazione di esperti, ha provveduto a redigere la proposta di «Piano Pandemia Influenzale – Regione Lombardia», che traduce nella realtà lombarda le indicazioni nazionali, evidenziando responsabilità, azioni e tempi di realizzazione;
Ritenuto di dover procedere all’approvazione di detto documento, secondo quanto previsto dalle indicazioni nazionali;
Precisato che il Comitato Pandemico Regionale, previsto all’allegato 1, al fine di supportare, sotto il profilo tecnico-scientifico, la Direzione Generale Sanità e di coordinare i diversi interventi, all’interno ed all’esterno dell’Amministrazione regionale, dovrà essere costituito con successivo provvedimento;
Considerata la necessità di disporre di un budget per la copertura dei costi da sostenere al verificarsi dell’evento pandemico, stimato complessivamente in € 54.000.000,00, e ripartito nelle seguenti voci di spesa:
– € 18.000.000,00 acquisto di vaccino pandemico;
– € 10.000.000,00 acquisto di farmaci antivirali;
– € 22.000.000,00 acquisto di prestazioni assistenziali finalizzate al trattamento domiciliare;
€ 3.900.000,00 acquisto Dispositivi di Protezione Individuale da rendere disponibili in caso di obbligo di utilizzo nell’accesso ad ambulatori, strutture sanitarie e sociosanitarie;
– € 100.000,00 allargamento a tutto l’anno solare della sorveglianza influenzale attraverso la rete dei medici sentinella;
Sentita la relazione della III Commissione consiliare; Con votazione palese, per alzata di mano:
DELIBERA
Di approvare, per le motivazioni in premessa riportate,
  1. il «Piano Pandemia Influenzale – Regione Lombardia» di cui all’allegato n. 1;
  2. di impegnare la Giunta, qualora si verificasse l’evento pandemico, a sostenere gli oneri derivanti dall’attività per la realizzazione degli obiettivi fissati;
  3. di dare atto che la spesa complessiva è stata stimata in € 54.000.000,00 e ripartita nelle seguenti voci di spesa:
– € 18.000.000,00 acquisto di vaccino pandemico;
– € 10.000.000,0
€ 22.000.000,00 acquisto di prestazioni assistenziali finalizzate al trattamento domiciliare,
– € 3.900.000,00 acquisto Dispositivi di Protezione Individuale da rendere disponibili in caso di obbligo di utilizzo nell’accesso ad ambulatori, strutture sanitarie e sociosanitarie;
– € 100.000,00 allargamento a tutto l’anno solare della sorveglianza influenzale attraverso la rete dei medici sentinella.
ALLEGATO 1
PIANO PANDEMIA INFLUENZALE REGIONE LOMBARDIA
Introduzione
Obiettivo del presente piano è dotare la Regione di uno strumento operativo, che traduca nella realtà regionale le indicazioni contenute nel Piano Pandemico Nazionale Influenza, del quale ricalca l’obiettivo generale: rafforzare la preparazione alla possibile pandemia attraverso una adeguata pianificazione, soprattutto sotto il profilo organizzativo, affinché la diffusione dell’eventuale virus pandemico sia rallentata e limitata e l’assistenza ai casi adeguata.
Il Piano regionale dunque:
definisce i soggetti istituzionali deputati ad assumere le diverse disposizioni e provvedimenti, in relazione alle differenti fasi e situazioni e, di conseguenza, istituisce il Comitato Pandemico Regionale per il raccordo con la sede nazionale ed il coordinamento delle azioni regionali;
– definisce le azioni da porre in atto ai fini della sorveglianza, prevenzione, controllo ed assistenza, i rispettivi soggetti incaricati di provvedervi, i tempi e modalità attraverso cui gli stessi debbono operare.
Poiché gli scenari conseguenti alle diverse fasi di una eventuale pandemia influenzale, così come individuati dall’OMS e riportati nella Tabella sottostante, non sono del tutto definiti, il presente documento entra nel dettaglio delle azioni necessarie sino alla fase 3, rinviando ad ulteriori provvedimenti le azioni delle fasi successive, pur individuando, già da ora, le modalità attraverso le quali procedere.
PERIODO INTERPANDEMICO
Fase 1. Nessun nuovo sottotipo di virus influenzale isolato nell’uomo. Un sottotipo di virus influenzale che ha causato infezioni nell’uomo può essere presente negli animali. Se presente negli animali, il rischio di infezione o malattia nell’uomo è considerato basso
Fase 2. Nessun nuovo sottotipo di virus influenzale isolato nell’uomo. Comunque, la circolazione negli animali di sottotipi virali influenzali pone un rischio sostanziale di malattia per l’uomo
Livello 0: assenza di rischio all’interno della Nazione
Livello 1: presenza di rischio nella Nazione o presenza di intensi collegamenti o scambi commerciali con Paesi a rischio
PERIODO DI ALLERTA PANDEMICO
Fase 3. Infezione nell’uomo con un nuovo sottotipo, ma assenza di trasmissione da uomo a uomo, o solo rare prove di trasmissione in contatti stretti
Livello 0: assenza di infezioni nella Nazione
Livello 1: presenza di infezioni nella Nazione, o presenza di intensi collegamenti o scambi commerciali con Paesi affetti
Fase 4. Piccoli cluster con limitata trasmissione interumana e con diffusione altamente localizzata, che indicano che il virus non è ben adattato all’uomo
Livello 0: assenza di piccoli cluster nella Nazione
Livello 1: presenza di piccoli cluster nella Nazione o presenza di intensi collegamenti o scambi commerciali con Paesi dove sono stati rilevati cluster di malattia
Fase 5. Grandi cluster, ma diffusione interumana ancora localizzata, che indicano che il virus migliora il suo adattamento all’uomo, ma non è ancora pienamente trasmissibile (concreto rischio pandemico),
Livello 0: assenza di grandi cluster nella Nazione
Livello 1: presenza di grandi cluster nella Nazione o presenza di intensi collegamenti o scambi commerciali con Paesi dove sono stati rilevati grandi cluster di malattia
PERIODO PANDEMICO
Fase 6. Aumentata e prolungata trasmissione nella popolazione in generale
Livello 0: assenza di casi nella popolazione nazionale
Livello 1: presenza di casi nella Nazione o presenza di intensi collegamenti o scambi commerciali con Paesi dove la pandemia è in atto
Livello 2: fase di decremento
Livello 3: nuova ondata
PERIODO POST PANDEMICO
Ritorno al periodo interpandemico
  1. Assetti organizzativi
Il Piano Pandemico Nazionale prevede: «… in dettaglio, ciascuna Regione definisce una propria organizzazione di struttura operativa coerente con le funzioni richiamate in questo Piano e definita da un apposito documento di implementazione del Piano di livello regionale».
Regione Lombardia, in considerazione del fatto che tempi e modi di manifestazione della possibile pandemia influenzale non possono essere definiti a priori nel dettaglio e quindi che la costituzione di nuove strutture tecniche o organizzative oltre che di difficile definizione, potrebbe rivelarsi inutilmente dispendiosa, prevede di operare nell’ambito degli assetti organizzativi già esistenti, con le opportune integrazioni per le peculiarità dell’evento pandemico.
Di conseguenza, nei periodi interpandemico e di allerta pandemico – corrispondenti alle fasi 1 – 2 – 3 – 4 – 5 della classificazione OMS – poiché le decisioni e i provvedimenti attengono specificamente l’ambito sanitario, le disposizioni ed il coordinamento degli interventi è in capo alla Direzione Generale Sanità, che si avvale a livello locale delle Aziende Sanitarie Locali.
Al fine di supportare, sotto il profilo tecnico-scientifico, la Direzione Generale Sanità e di coordinare i diversi interventi, all’interno ed all’esterno dell’amministrazione regionale, è costituito il Comitato Pandemico Regionale, con la seguente composizione.
ENTE/AMMINISTRAZIONE
COMPONENTI
Direzione Centrale Relazioni esterne, internazionali e comunicazione
Direttore o suo delegato
Esperti in Sanità Pubblica e Veterinaria
Componenti task force «influenza aviaria»
Direzione Generale Sanità:
Direttore o suo delegato
– U.O. Prevenzione e Tutela Sanitaria e veterinaria
Dirigenti UU.OO.
– U.O. Servizi Sanitari Territoriali
– U.O. Programmazione e Sviluppo Piani
Direzione Generale Famiglia:
Direttore o suo delegato
– Unità Organizzativa Accreditamento e Qualità
Dirigenti UU.OO.
– Unità Organizzativa Sistema Socioassistenziale
Direzione Generale Protezione Civile, Sicurezza e Polizia Locale
Direttore o suo delegato
Ministero della Salute:
Dirigente responsabile
Ufficio Sanità Aerea – USMAF Malpensa
Nel periodo pandemico – fase 6 della classificazione OMS – si innestano problematiche non esclusivamente sanitarie: andandosi quindi a configurare una situazione di carattere emergenziale, interviene l’assetto previsto dalla normativa vigente.
Pertanto, a seguito di deliberazione dello stato di emergenza ai sensi dell’art. 5, comma 1 della legge n. 225/92 di competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, le attività finalizzate a fronteggiare l’emergenza sono svolte dai Comitati Operativi della Protezione Civile che, sia a livello regionale che provinciale, saranno integrati rispettivamente dalla D.G. Sanità e dalle ASL per quanto riguarda le competenze specialistiche di prevenzione sanitaria e veterinaria.
In sintesi l’assetto organizzativo prevede:
FASI PANDEMICHE
LIVELLO DECISIONALE
Periodo interpandemico (fasi 1 e 2)
Direzione Generale Sanità (si avvale del Comitato Pandemico)
Periodo di allerta Pandemico (fasi 3, 4, 5)
ASL (coordina Assistenza sanitaria Primaria e Specialistica)
Periodo Pandemico (fase 6)
Unità di Crisi Regionale (integrata con Direzione Generale Sanità)
Comitati Protezione Civile c/o Prefetture (integrati con ASL)
  1. Strategie di comunicazione
Nel periodo interpandemico e nel periodo di allerta pandemico – fase 3, sono stati avviati interventi di informazione/educazione sanitaria per la diffusione nella popolazione della promozione delle misure di prevenzione generale; in particolare sono stati predisposti opuscoli informativi («Più informati e meno influenzati», «Consigli ai viaggiatori internazionali», «Come rendere più sicuri i pollai domestici») ed aggiornato il sito web della D.G. Sanità (Domande e risposte sull’influenza aviaria, normativa e documentazione scientifica).
Con l’evidenziarsi della prosecuzione delle fasi di allerta pandemico, l’informazione dovrà essere intensificata ed ulteriormente mirata: per tale motivo la U.O. Prevenzione, Tutela Sanitaria e Veterinaria in collaborazione con la struttura competente in materia di comunicazione sanitaria, predisporrà strumenti informativi ad hoc che verranno resi disponibili alle ASL per la diffusione capillare locale.
L’esperienza di passate emergenze conferma l’opportunità di concentrare lo sforzo anche locale sulla diffusione di messaggi uniformi e scientificamente validati, anziché sulla produzione di strumenti informativi «in proprio» che in tal caso non usufruirebbero del vantaggio una forte eco generale.
Inoltre considerata la necessità di evitare confondimenti e discordanze nell’ambito della comunicazione, già nelle fasi interpandemiche, è necessario che siano definiti i rapporti di collaborazione con i media/organi di stampa: a tal fine la Presidenza definisce la partnership con le altre Autorità Istituzionali presenti sul territorio, per un accordo sull’unicità del «comunicatore sanitario»; concorda un protocollo di intesa con gli Organi di Informazione che garantisca, specie nelle fasi 4-5-6, l’aggiornamento ordinario e straordinario sulla situazione; stipula di accordi con i gestori delle reti telefoniche per l’inoltro di messaggi (sms) contenenti informazioni urgenti ed essenziali.
Oltre a tali interventi di carattere più generale, le ulteriori azioni da realizzare sono:
RESPONSABILE
AZIONE
TEMPI
D.G. Sanità
– Definire la rete di comunicazione tra gli operatori sanitari (indirizzario e livelli di attivazione dei Responsabili di ASL, Ospedali e Case di cura, Rappresentanti
Entro 60 gg dall’approvazione del Piano Pandemico Regionale; da aggiornarsi mensilmente
U.O. Prevenzione, tutela sanitaria e veterinaria
– Realizzare sul sito web della Direzione Generale Sanità un’area riservata agli operatori, comprensiva di materiale documentale, direttive, recapiti telefonici, aggiornamenti epidemiologici e link con siti specifici quali Influnet, CCM ecc.
Entro 90 gg dall’approvazione del Piano Pandemico Regionale; da aggiornarsi mensilmente
ASL
– Definire la rete locale di comunicazione tra gli operatori sanitari (indirizzario, sito web aziendale)
Entro 60 gg dall’adozione del Piano
– Definire le modalità di diffusione a livello locale del materiale divulgativo predisposto dalla Regione, individuando i terminali (media locali, scuole, associazioni, siti web, mailing list, ecc.)
Pandemico Regionale, nell’ambito del Piano Pandemico Locale
Inoltre considerata la necessità di evitare confondimenti e discordanze nell’ambito della comunicazione sia a livello regionale che territoriale, sicuramente nella fase 6, ma preferibilmente anche nelle fasi 4 e 5, è identificato una unica fonte ufficiale deputata ai rapporti con la stampa e i media locali, per la diffusione delle informazioni di carattere sanitario e precisamente a livello regionale nella Presidenza, e locale nella Direzione Generale delle ASL.
  1. Sorveglianza epidemiologica e virologica
Nelle fasi 1 – 2 è mantenuta l’attuale rete di sorveglianza dell’influenza stagionale, strutturata con i medici sentinella e con il CIRI per la sorveglianza virologica ed epidemiologica.
Nella fase 3 è necessario potenziare la sorveglianza e il controllo, in particolare nei confronti dei soggetti a maggior rischio di contagio.
A tal fine la sorveglianza stagionale viene incrementata con gli interventi previsti dalle Linee guida per la gestione dei focolai di influenza aviaria (Circolare 6/2006/SAN).
Inoltre le successive azioni da implementare sono costituite da:
RESPONSABILE
AZIONE
TEMPI
D.G. Sanità – U.O. Prevenzione,
– Verificare e adeguare il sistema di sorveglianza epidemiologica dell’influenza stagionale (percentuale di popolazione regionale sotto sorveglianza) ed estensione della stessa per tutto l’arco dell’anno
Adottata Convenzione con CIRI
Tutela Sanitaria e Veterinaria
– Avviare convenzione con Istituto di Virologia per la realizzazione della sorveglianza virologica su addetti ad allevamenti e macelli avicoli
Entro 60 gg dall’adozione del Piano Pandemico Regionale
D.G. Sanità U.O. Programmazione e U.O. Prevenzione, Tutela Sanitaria e Veterinaria
– Definire la rete dei laboratori individuati per la sorveglianza virologica
Adottata (sotto-allegato a)
– Verificare il mantenimento della sorveglianza in ambito veterinario, secondo quanto contenuto nello specifico provvedimento regionale (Circolare 6/2006/SAN)
Con l’adozione del Piano Pandemico Regionale
D.G. Sanità U.O. Prevenzione, Tutela Sanitaria e Veterinaria
– Definire, ed integrare a seguito di emanazione di specifici provvedimenti nazionali, le categorie alle quali estendere la sorveglianza nelle fasi successive alla 2 ed i relativi protocolli di indagine epidemiologica e di sorveglianza dei contatti in caso di segnalazione di casi sospetti
Adottato (sotto-allegato c) per la fase 3 – da integrare entro 30 gg dalla emanazione di provvedimenti nazionali
D.G. Sanità U.O. Prevenzione, Tutela Sanitaria e Veterinaria
– Definire le modalità di sorveglianza e indagine epidemiologica di casi sospetti
Adottato (sotto-allegato c) e sotto-allegato d)
– Definire le modalità di rilevazione di:
– cluster di sindrome influenzale potenzialmente attribuibili a virus pandemico;
– cluster di morti inattese per ILI/IRA in strutture sanitarie sociosanitarie
Entro 60 gg dall’adozione del Piano Pandemico Regionale, in accordo con Ministero
– Identificare sistemi di rilevazione campionaria di:
– numero degli accessi in PS e dei ricoveri,
– mortalità totale
– tassi di assenteismo lavorativo e scolastico
D.G. Sanità e USMAF
Definire il protocollo per la sorveglianza dei viaggiatori provenienti da aree affette a seguito di indicazioni nazionali
Entro 30 gg dall’adozione del Piano Pandemico Regionale, fatte salve eventuali indicazioni nazionali ed internazionali di immediato recepimento
ASL Dipartimento di Prevenzione Veterinario
Attuare la sorveglianza sul serbatoio animale secondo quanto indicato nella Circolare 6/2006/SAN
In essere
ASL Dipartimento di Prevenzione Medico
– Attuare gli interventi di sorveglianza negli esposti in caso di epidemie nel serbatoio animale (Circolare 6/2006/SAN)
In essere
– Verificare la corretta e capillare diffusione ai MMG e PLS e alle strutture sanitarie di diagnosi e cura dei casi/situazioni da sottoporre a sorveglianza sanitaria e indagine epidemiologica
Entro 30 gg dall’adozione del documento regionale specifico e successivi aggiornamenti
– Verificare la conoscenza e l’efficienza dei flussi di segnalazione (es. cluster ospedalieri)
– Attivare, ove ci siano casi sospetti, immediata ed approfondita indagine epidemiologica secondo i protocolli regionali allegati
Censimento ed organizzazione della rete regionale di diagnosi e cura
Al fine di recuperare ed utilizzare in modo etico ed efficiente risorse sanitarie esistenti, le azioni da porre in atto sono:
RESPONSABILE
AZIONE
TEMPI
D.G. Sanità – Struttura raccordi affari generali
Stilare accordi regionali con le Organizzazioni Sindacali dei Medici assistenza primaria sulle modalità di ampliamento delle forme di assistenza ambulatoriale e domiciliare nel periodo pandemico – fase 6
Entro 180 gg dall’adozione del Piano Pandemico Regionale
D.G. Sanità – U.O. Servizi Sanitari territoriali
Censire e monitorare i posti letto nelle U.O. di malattie Infettive
Approntato (sotto-allegato a); da aggiornarsi mensilmente
D.G. Famiglia
Stipulare l’accordo regionale con gestori di strutture socio-sanitarie residenziali sulle forme di potenziamento dell’assistenza medica e infermieristica atte a limitare il ricorso al ricovero ospedaliero
Entro 180 gg dall’adozione del Piano Pandemico Regionale
ASL
– Verificare la predisposizione da parte di A.O., Strutture Sanitarie e Socio-Sanitarie – sia accreditate che autorizzate – di un piano per garantire il massimo livello assistenziale durante la fase pandemica (sospensione ferie e permessi, rinvio di ricoveri e attività programmata, sostituzioni e spostamenti tra Reparti…)
Entro 180 gg dall’adozione del Piano Pandemico Regionale (nell’ambito del Piano Pandemico Locale)
– Valutare, in accordo con le strutture di ricovero, le possibilità di incremento di posti letto aggiuntivi per tipologia – in U.O. Malattie Infettive e altre degenze in regime di emergenza
– Definire le modalità per garantire l’incremento di assistenza domiciliare medica ed infermieristica (es. aumento dei turni di continuità assistenziale;
– incremento ADP/ADI…) e le relative risorse
– Definire accordi per il monitoraggio dell’assistenza presso le RSA e dell’appropriatezza in caso di ricovero ospedaliero (adesione ai protocolli diagnostico-terapeutici e limitazione dei ricoveri impropri – vedi poi)
Un’ulteriore azione preparatoria consiste nella messa a punto di protocolli diagnostico-terapeutici, finalizzati ad una gestione uniforme dei casi che si manifestano.
Nel sotto-allegato c), si esamina ed affronta il problema sulla gestione dei casi sospetti in fase 3; tuttavia la problematica è più complessa all’avanzare delle fasi e quindi del numero dei soggetti coinvolti, vista anche l’incertezza sulle caratteristiche dei quadri clinici che il virus pandemico determinerà.
In ogni caso è necessario individuare già da ora la sequenza dei diversi provvedimenti:
  1. Organizzazione delle misure di prevenzione e controllo
L’attuazione di misure di prevenzione presuppone una programmazione a priori dei diversi interventi da porre in atto; per quanto riguarda le misure di prevenzione generale si procederà come di seguito schematizzato:
RESPONSABILE
AZIONE
TEMPI
D.G. Sanità – U.O. Servizi Sanitari territoriali/ U.O. Prevenzione, Tutela Sanitaria e Veterinaria
Diffondere ed aggiornare, su indicazione nazionale, le definizioni di caso ed i conseguenti percorsi diagnostico-terapeutici da seguire sia in ambito domiciliare che di ricovero
In essere per la fase 3; per le fasi successive da approntare non appena pervengano le indicazioni ministeriali
ASL
– Verificare che A.O., Strutture Sanitarie e Socio-Sanitarie sia accreditate che autorizzate abbiano recepito i protocolli
– Monitorare con i MMG/PLS/CA i percorsi di assistenza domiciliare e la loro applicabilità
Entro 180 gg dall’adozione del Piano Pandemico Regionale (nell’ambito del Piano Pandemico Locale)
RESPONSABILE
AZIONE
TEMPI
Presidenza e D.G. Sanità
Definire in base ai differenti livelli di allarme ed in coerenza con le indicazioni nazionali l’adozione delle misure generali:
– utilizzo mascherine in ambito sanitario (sale di attesa ambulatori, centri prelievi, pronto soccorso, ecc….)
Entro 60 gg dall’adozione del Piano Pandemico Regionale predisposizione dei provvedimenti regionali – ordinanze, Delib. G.R… – da adottare in fase 6.
limitazione raduni o accesso a strutture sanitarie e socio-sanitarie da parte dei visitatori
– interruzione della frequenza scolastica
ASL
Definire
– il fabbisogno dei presidi di protezione
– le modalità di approvvigionamento, stoccaggio, distribuzione
– le dotazioni di un quantitativo adeguato di scorta per la distribuzione ai MMG/PLS NB: per l’ambiente ospedaliero ciascuna struttura di ricovero dovrà provvedere in proprio
Entro 180 gg dall’adozione del Piano Pandemico Regionale (nell’ambito del Piano Pandemico Locale)
Per quanto riguarda le misure di prevenzione specifica, nella fase di preparazione, è necessario predisporre documenti ad hoc che valutino a livello locale le specifiche necessità e le risposte conseguenti.
Pertanto per quanto riguarda la vaccinazione con vaccino pandemico, i compiti sono dunque:
RESPONSABILE
AZIONE
TEMPI
D.G. Sanità – U.O. Prevenzione, Tutela Sanitaria e Veterinaria
– Declinare i criteri di priorità per la somministrazione del vaccino definiti nel Piano Pandemico Nazionale, attuando le opportune integrazioni che dovessero essere successivamente emanate
Adottato (sotto-allegato d)
– Individuare i criteri di priorità nella riduzione delle attività di istituto delle ASL, per implementare l’attività di vaccinazione
Adottato
D.G. Sanità
– U.O. Prevenzione, Tutela Sanitaria e Veterinaria
– Predisporre gli atti per la tempistica e quote di distribuzione del vaccino pandemico alle ASL, stante il fabbisogno da queste definito
– Verificare il corretto funzionamento del sistema di farmacovigilanza per la rilevazione degli eventi avversi a vaccino, adeguandolo alla fase pandemia
Entro 30 giorni dalla presentazione dei Piani Locali delle ASL
Entro 60 gg dall’adozione del Piano Pandemico Regionale
– U.O. Servizi Sanitari territoriali, U.O. Programmazione
– Rendere disponibile l’estrazione a livello locale dei soggetti eleggibili alla vaccinazione, dalla banca dati assistiti
D.G. Sanità – U.O. Prevenzione, Tutela Sanitaria e Veterinaria
Definire il formato, la tempistica e le modalità del report della attività vaccinale, rendendo disponibile sul sito – area riservata la tabella per la registrazione del n. di persone vaccinate
Entro 60 gg dall’adozione del Piano Pandemico Regionale
ASL
Contattare i responsabili delle strutture sanitarie e non, individuate quali servizi essenziali e di pubblica utilità (sotto-allegato e) affinché provvedano a:
– comporre ed aggiornare costantemente gli elenchi nominativi dei soggetti da vaccinare
Entro 180 gg dall’adozione del Piano Pandemico Regionale (nell’ambito del Piano Pandemico Locale)
– comunicare alla ASL la numerosità degli stessi
– garantire sotto la propria responsabilità l’appropriatezza della individuazione
– acquisire per le categorie non rientranti in attività lavorative, la numerosità dei soggetti, stabilendo di conseguenza il fabbisogno complessivo di vaccini
– Identificare sulla base della quota di vaccini assegnata:
– gli spazi disponibili per lo stoccaggio
– la quantità massima conferibile
– la rete di distribuzione periferica
– punti di somministrazione
– coerente con le priorità indicate per le categorie e nel rispetto di equità in caso di disponibilità ridotta
– il responsabile dello stoccaggio centrale
– i responsabili della ricezione periferica
– il responsabile della rete per la somministrazione
Predisporre il piano per l’effettuazione rapida della vaccinazione antinfluenzale al maggior numero possibile di soggetti, individuando:
– la rete dei propri ambulatori (distribuzione territoriale ed orari) e le relative risorse umane
– il nominativo del responsabile di ciascuna struttura/ amministrazione di appartenenza delle categorie di soggetti candidati, che dovrà provvedere alla somministrazione del vaccino
Disporre la sospensione delle attività di routine nel rispetto dei criteri individuati a livello regionale
Predisporre (ove non già disponibile) le modalità per poter registrare in formato elettronico le vaccinazioni eseguite in corso di pandemia, riportando le categorie a rischio: tale strumento di registrazione dovrà essere reso disponibile dalle ASL a strutture/amministrazioni che eseguono le vaccinazioni
Individuare il responsabile per la verifica della corretta registrazione periferica e per la rendicontazione alla U.O. regionale
Altra problematica è costituita dall’utilizzo degli antivirali, sia a scopo di profilassi che di terapia.
Nella fase preparatoria è quindi necessario porre attenzione alla costituzione delle scorte e al piano distribuzione degli antivirali, secondo i seguenti tempi e modalità:
RESPONSABILE
AZIONE
TEMPI
D.G. Sanità – Servizi Sanitari Territoriali e U.O. Prevenzione, tutela sanitaria e veterinaria
Individuare i siti di immagazzinamento sul territorio regionale (di norma presso le ASL/A.O.) in grado di garantire:
Entro 30 giorni dalla presentazione dei Piani Locali delle ASL
– corrette condizioni di immagazzinamento (controllo temperatura, umidità relativa, condizioni igieniche dei locali)
– copertura del territorio regionale con possibilità di conferimento del farmaco entro 4 ore dalla richiesta
D.G. Sanità – Servizi Sanitari Territoriali e U.O. Prevenzione, tutela sanitaria e veterinaria
Definire, in accordo con le indicazioni nazionali, i protocolli di utilizzo dei farmaci antivirali sia come profilassi pre e post esposizione che per la terapia, dandone adeguata informazione alle componenti sanitarie interessate (strutture sanitarie di diagnosi e cura; MMG/PLS; Dipartimenti di Prevenzione Medici delle ASL)
Approntata (sotto-allegato f); da modificare in caso di nuove disposizioni nazionali
ASL
Verificare la disponibilità logistica di stoccaggio (nel rispetto delle modalità previste) sia presso il proprio Servizio farmaceutico che presso le A.O., comunicando alla D.G. Sanità:
Entro 180 gg dall’adozione del Piano Pandemico Regionale (nell’ambito del Piano Pandemico Locale)
– il nominativo del Responsabile
– il n. di dosi immagazzinabili
– i tempi necessari per rendere disponibili tali spazi dalla richiesta regionale
Definire le modalità per garantire il conferimento del
farmaco su tutto il territorio della ASL anche attraverso specifici accordi con le farmacie territoriali ed i trasportatori intermedi
Concordare con le strutture sanitarie di diagnosi e cura e i MMG/PLS le modalità di monitoraggio dell’utilizzo degli antivirali
  1. Azioni connesse con la gestione del periodo pandemico – fase 6
Come più sopra indicato in fase 6 sopravviene l’assetto organizzativo delle situazioni emergenziali.
In questa fase come indicato al paragrafo 2 la comunicazione relativa all’andamento della pandemia, sarà di esclusiva competenza della Presidenza a livello regionale e della Direzione generale ASL a livello locale, mentre eventuali provvedimenti interessanti la collettività sociale (chiusura delle scuole, interdizione dei raduni ecc.) saranno comunicati dai livelli di decisionali cui compete l’assunzione di tali provvedimenti.
Attraverso il coordinamento dell’Unità di Crisi Regionale, opportunamente integrata con la componente sanitaria – D.G. Sanità e le Unità di Crisi c/o le Prefetture si dovranno garantire gli interventi di seguito elencati, ferma restando, come già precedentemente indicato, la necessaria flessibilità nel recepire e successivamente dettagliare in riferimento alla realtà regionale, le indicazioni che deriveranno dalla conoscenza del virus pandemico e del quadro clinico da questi sostenuto.
RESPONSABILE
AZIONE
TEMPI
D.G. Sanità
– Aggiornare gli indicatori per la sorveglianza epidemiologica della pandemia inseriti nel sito web regionale a fronte di indicazioni ministeriali
In tempo reale
– U.O. Servizi Sanitari Territoriali
– Avviare presso le ASL il monitoraggio degli indicatori (vedi sotto)
– U.O. Prevenzione, tutela sanitaria e veterinaria
– Fornire le indicazioni per il mantenimento della sorveglianza virologica su un numero limitato di campioni per monitorare le caratteristiche del virus
– Aggiornare le indicazioni relative al percorso diagnostico ed al management clinico, compresa l’indicazione alla ospedalizzazione
D.G. Sanità – U.O. Prevenzione, tutela sanitaria e veterinaria
– Avviare la vaccinazione con vaccino pandemico secondo quanto indicato nel sotto-allegato e)
In tempo reale
– Avviare il monitoraggio delle coperture vaccinali per i gruppi a rischio
– Potenziare il monitoraggio degli eventi avversi a vaccino e la restituzione della lettura dei dati di farmaco- vigilanza
D.G. Sanità – U.O. Prevenzione, tutela sanitaria e veterinaria
Rendere disponibili per la diffusione da parte di ASL e per loro tramite a tutti i soggetti sanitari e non, le seguenti informazioni:
In tempo reale
– Adozione delle comuni norme igieniche
– Informazioni sanitarie circa le modalità di esordio della patologia per favorire la diagnosi precoce
– Isolamento dei pazienti con sintomatologia sospetta, adozione delle norme igieniche per limitare la diffusione (uso di mascherina) e loro assistenza ove possibile al domicilio, limitando il n. di contatti
– Necessità di seguire rigorosamente i protocolli di impiego degli antivirali a scopo preventivo e terapeutico al fine di limitare la insorgenza di ceppi virali resistenti
Indicazioni in merito ad eventuale limitazione di viaggi verso aree non infette
ASL
– Diffondere ai medici di medicina primaria e alle strutture di diagnosi e cura le indicazioni aggiornate relative al percorso diagnostico ed al management clinico, compresa l’indicazione alla ospedalizzazione
In tempo reale
– Avviare di conseguenza le azioni di potenziamento dell’assistenza sanitaria al domicilio indicate nel Piano Pandemico Locale
– Avviare con strutture di diagnosi e cura e con i responsabili dei comuni-aziende-scuole/campione il monitoraggio settimanale di:
– n. ricoveri ospedalieri suddivisi per classi di patologia
– n. ricoveri ospedalieri per sindrome influenzale esitati in decesso
– n. dei decessi in un campione rappresentativo di comuni
– Presenza nelle aziende/campione per assenteismo lavorativo (e scolastico qualora non sia disposta la chiusura delle scuole)
– Effettuare la campagna di vaccinazione con vaccino pandemico
– Inserire in tempo reale sul sito web regionale i dati di copertura
  1. Cronoprogramma dell’attuazione del Piano Pandemia Influenzale Regione Lombardia
Finalità
Tempi dalla Delibera Piano (gg)
Azione Regione
Tempi dalla Delibera Piano (gg)
Azione ASL
Comunicazione
60
Disegnare rete comunicazione soggetti sanitari
60
Definire accordo per comunicatore unico (Presidenza) deputato ai rapporti con i media
90
Accordo con i gestori telefonia mobile per sms
90
Sito web dedicato con accesso riservato
In continuo
Predisporre materiale informativo coerente con i livelli di allerta
60
Disegnare rete locale di comunicazione
60
Disegnare rete di diffusione materiale divulgativo
Sorveglianza epidemiologica e virologica
30
Predisporre protocollo per la sorveglianza dei viaggiatori provenienti da aree infette (se non definito dal livello nazionale)
60
Definire modalità di rilevazione dei cluster di sindrome influenzale e di morti per ILI/IRA
60
Definire modalità di rilevazione campionaria di
– Accessi PS e ricoveri
– Mortalità
– Assenteismo lavorativo e scolastico
60
Stipulare convenzione Istituto di Virologia per allargamento sorveglianza virologica agli addetti ad allevamenti e macelli avicoli
subito
Diffusione a medicina primaria e strutture sanitarie dei protocolli per il controllo e dei flussi di segnalazione
Censimento e organizzazione della rete regionale di diagnosi e cura
180
Definire accordi con O.S. MMG per ampliamento assistenza in fase 6
180
Definire accordo-quadro gestori RSA per aumento assistenza medica ed infermieristica finalizzata al contenimento dei ricoveri
subito
Diffondere i protocolli di gestione di casi in fase 3 a medicina primaria e strutture sanitarie e socio-sanitarie
180
Verificare la predisposizione del Piano emergenziale – fase 6
– per aumento assistenza da parte di strutture sanitarie e socio sanitarie:
– sospensione permessi, ferie, ecc.
– ridistribuzione posti letto
– sospensione attività programmata e differibile
180
Predisporre Piano per l’incremento della assistenza domiciliare medica ed infermieristica in fase pandemia con individuazione delle risorse
180
Condividere con RSA strategie per l’incremento della assistenza e monitorare il ricorso al ricovero ospedaliero
Organizzazione delle misure di sorveglianza e controllo
Misure generali
60
Predisporre gli atti formali da emanare al verificarsi delle condizioni di rischio per attivare le misure generali di controllo:
– utilizzo mascherine in ambito sanitario (sale di attesa ambulatori, centri prelievi, pronto soccorso, ecc…)
– limitazione raduni o accesso a strutture sanitarie e socio-sanitarie da parte dei visitatori;
– interruzione della frequenza scolastica.
180
Definire Piano utilizzo presidi di protezione:
 
– fabbisogno
– approvvigionamento, stoccaggio
– distribuzione a MMG/PLS e ambulatori di sanità pubblica
Organizzazione delle misure di sorveglianza e controllo
30
Verificare il sistema di farmacovigilanza rispetto alla possibilità di essere stressato in fase pandemica
60
Rendere disponibile l’estrazione dalla banca assistiti dei soggetti candidati a ricevere la vaccinazione
60
Predisporre format su sito regionale per inserimento dei soggetti individuati e registrazione della vaccinazione
Vaccinazione
30 post Piano locale ASL
Piano distribuzione dei vaccini alle ASL
180
Predisporre e aggiornare elenchi suddivisi per categorie degli eleggibili alla vaccinazione (acquisire dalle strutture la segnalazione e l’assunzione di responsabilità nell’individuazione)
180
Comunicare alla Regione la quota di vaccini necessari
180
Definire Piano per stoccaggio e distribuzione
180
Definire Piano per la somministrazione rapida, compresa la sospensione delle attività di routine
180
Acquisire format per registrazione vaccinazioni
30 post Piano locale ASL
Individuazione siti di immagazzinamento e del piano di distribuzione per il conferimento entro 4 ore nei siti di richiesta
Farmaci antivirali
180
Definire Piano di stoccaggio e distribuzione, comprensivo di:
– individuazioni dei livelli di responsabilità
– accordi con farmacie e distributori intermedi per il conferimento celere dei farmaci
Gli interventi in fase 6 – pandemia sono l’attuazione di quanto definito nel piano regionale, nel piano locale, nei conseguenti documenti attuativi
Sotto-allegato a
RETE DI CONTATTO OPERATORI/RESPONSABILI SANITARI E LIVELLI DI ATTIVAZIONE RETE REGIONALE DEI LABORATORI PER LA SORVEGLIANZA DEI VIRUS INFLUENZALI
FASI PANDEMICHE
LIVELLO di sorveglianza
LABORATORI DELLA RETE DI SORVEGLIANZA
Periodo interpandemico (fasi 1 e 2)
Viene effettuata la sorveglianza dell’influenza stagionale (rete medici sentinella)
CIRI – Istituto di Virologia
Periodo di allerta Pandemico (fase 3)
Viene effettuata la sorveglianza sui casi possibili, come definiti e secondo i protocolli ISS-CCM
Laboratorio Microbiologia H Sacco + CIRI per conferma (anche in caso di esito negativo)
Periodo di allerta Pandemico (fasi 4 e 5)
Viene effettuata la sorveglianza sui casi possibili, come definiti e secondo i protocolli ISS-CCM
Laboratori di Microbiologia dei Presidi Ospedalieri sedi di U.O. di Malattie Infettive + CIRI per conferma (anche in caso di esito negativo)
Periodo Pandemico (fase 6)
Viene effettuata la sorveglianza come definita e secondo i protocolli ISS-CCM
Laboratori di Microbiologia dei Presidi Ospedalieri sedi di U.O. di Malattie Infettive + CIRI nei casi selezionati
STRUTTURE SANITARIE ACCREDITATE CON UNITÀ OPERATIVA DI MALATTIE INFETTIVE
Struttura sanitaria
U.O. Malattie infettive
Nº posti letto totali
A.O. Ospedale di Circolo – Busto Arsizio
U.O. Malattie Infettive
18
Policlinico San Matteo – Pavia
U.O. Malattie Infettive
70
U.O. Malattie Infettive e Tropicali
A.O. Legnano – Ospedale di Cuggiono
U.O. Malattie Infettive
34
A.O. Varese – Ospedale di Circolo e Fond. Macchi
U.O. Malattie Infettive
22
A.O. Ospedale Sacco
U.O. Malattie Infettive I Div.
68
U.O. Malattie Infettive II Div.
U.O. Malattie Infettive III Clinica.
A.O. Ospedale «A. Manzoni» di Lecco
U.O. Malattie Infettive
12
A.O. Ospedale di Cremona
U.O. Malattie Infettive
19
A.O. di Lodi – Ospedale Dalmati – S.Angelo Lodigiano
U.O. Malattie Infettive
12
A.O. di Como – Ospedale Sant’Anna
U.O. Malattie Infettive
31
A.O. di Mantova – Presidio Osp. «C. Poma» – Mantova
U.O. Malattie Infettive
24
A.O. di Bergamo – Ospedali Riuniti – Bergamo
U.O. Malattie Infettive
82
A.O. Ospedali Civili di Brescia
1ª U.O. Malattie Infettive
72
2ª U.O. Malattie Infettive
A.O. Niguarda di Milano
U.O. Malattie Infettive
21
A.O. San Gerardo di Monza
U.O. Malattie Infettive
20
Ospedale San Raffaele di Milano
U.O. Malattie Infettive
35
Sotto-allegato b
SORVEGLIANZA VIROLOGICA ED EPIDEMIOLOGICA
La sorveglianza dell’influenza stagionale (fasi 1 – 2)
Il piano per fronteggiare un’eventuale pandemia influenzale prevede la messa a punto di un sistema di sorveglianza articolato e tempestivo per il riconoscimento dell’influenza e dei ceppi virali circolanti nei periodi interpandemici. A tal proposito si sottolinea che la capacità di risposta di un Paese ad una emergenza pandemica è fortemente influenzata dall’esistenza di una attività sistemica di sorveglianza epidemiologica-virologica condotta annualmente, che deve essere mantenuta attiva in anni di circolazione epidemica o sub-epidemica.
Per questo motivo, in seguito all’accordo sancito dalla Conferenza Stato-Regioni del 28 settembre 2000 (atto 1031), è stato organizzato un sistema di monitoraggio, denominato «Influnet». Il sistema di monitoraggio Influnet è su base settimanale e fa capo ad una rete di medici sentinella costituiti da medici di Medicina Generale (MMG) e Pediatri di Libera Scelta (PLS) che segnalano i casi di influenza osservati tra i loro assistiti (sorveglianza epidemiologico-clinica). I medici sentinella ed altri medici operanti nel territorio e negli ospedali collaborano inoltre alla raccolta dei campioni biologici per l’identificazione di virus circolanti (sorveglianza virologica). La sorveglianza è articolata in due emireti coordinate una dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS; Flu-ISS) e l’altra dal Centro Interuniversitario di Ricerca sull’Influenza costituito tra il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Genova e l’Istituto di Virologia dell’Università di Milano (CIRI). La Lombardia è coordinata dal CIRI insieme con Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Puglia, Calabria e Sicilia.
I due Centri di Riferimento Nazionali (ISS e CIRI) hanno il compito di:
1) redigere il protocollo operativo in collaborazione con le regioni e il Ministero;
2) costruire la base di dati e le procedure per l’invio e la consultazione dei dati aggregati;
3) raccogliere e analizzare settimanalmente i dati di sorveglianza nazionali;
4) contribuire allo scambio di dati con reti di sorveglianza europee;
5) curare il ritorno delle informazioni ai medici partecipanti. L’Istituto di Virologia dell’Università di Milano rappresenta il centro di riferimento per la sorveglianza della Regione Lombardia.
Sorveglianza epidemiologica
Obiettivo generale
Costituire una base di dati per la valutazione comparativa dell’incidenza dell’influenza nel corso degli anni.
Popolazione generale da sottoporre a sorveglianza attiva
Poiché l’influenza è una malattia con incidenza elevata, per la stima del suo andamento spazio temporale, è sufficiente garantire la sorveglianza dell’1-2% della popolazione regionale. Il numero dei medici partecipanti non è predefinito, ma è auspicabile che nell’ambito regionale la rete sia costituita da un gruppo di medici i cui assistiti rappresentino almeno l’1,5% della popolazione lombarda.
Flusso di segnalazione dei casi
La gestione locale del sistema di sorveglianza è affidata alla Regione che ha il compito di identificare un referente mediante la compilazione di una specifica scheda predisposta dal centro di riferimento nazionale. Il referente regionale deve coordinare la rete locale dei medici sentinella, la rilevazione settimanale dei dati, la loro immissione nel database. Nello specifico ha il compito di: promuovere l’iniziativa e invitare i medici a partecipare, controllare la continuità della partecipazione settimanale dei medici, provvedere all’inserimento dei dati, tramite internet, per eventuali medici sprovvisti di connessione.
Ai medici è richiesto di identificare e annotare giornalmente, sul proprio registro cartaceo, ogni nuovo paziente riscontrato affetto da sindrome influenzale nel periodo di sorveglianza (dalla 42ª settimana dell’anno in corso alla 17ª dell’anno successivo). Ogni settimana il numero aggregato dei casi osservati da ogni medico (divisi per gruppi di età e per categorie a rischio) deve essere trasmesso per via telematica al competente Centro di Riferimento. All’annuale protocollo operativo vengono allegati l’elenco delle settimane a cui fare riferimento nella segnalazione dei casi e la definizione clinica di ILI (Influenza-Like Illness). L’analisi dei dati a livello centrale deve essere effettuata con le seguenti modalità:
– settimanalmente
  1. Numero dei medici che nella settimana hanno inviato dati e popolazione sorvegliata (totale e per fascia di età);
  2. Tassi di incidenza regionali, totali e per fascia di età;
  3. Tassi di incidenza nazionali, totali e per fascia di età;
  4. Confronto con i dati analoghi delle stagioni precedenti;
– al termine della stagione influenzale
  1. Incidenza delle sindromi influenzali per settimana, per età e per regione;
  2. Incidenza cumulativa tra i casi vaccinati di età pari o superiore a 65 anni;
  3. Descrizione della diffusione geografica dell’influenza nell’arco della stagione;
  4. Distribuzione proporzionale delle ILI fra categorie a rischio. Il Centro di Controllo di Malattie del Ministero della salute (CCM) pubblica ogni settimana sul sito web le informazioni relative all’andamento nazionale dell’influenza.
Sorveglianza virologica
Obiettivi generali
– verificare la circolazione di virus influenzali, mediante esami di laboratorio su campioni clinici prelevati dai pazienti con ILI;
– caratterizzare, da un punto di vista antigenico e molecolare, i ceppi virali circolanti in periodo epidemico, valutando il grado di omologia antigenica tra ceppi circolanti nella popolazione e ceppi vaccinali;
– mettere a punto metodiche avanzate di diagnostica rapida e differenziale che permettano di identificare tempestivamente eventuali casi italiani di influenza pandemica;
– fornire agli organismi Internazionali (OMS, Agenzia Europea del Farmaco-EMEA) dati utili all’aggiornamento della composizione vaccinale.
Nel novembre 2005 il CIRI, l’ISS e il CCM hanno dato avvio ad un progetto di potenziamento della rete di sorveglianza virologica dell’influenza umana al fine di:
– implementare la rete di sorveglianza virologica dell’influenza, in modo da coprire l’intero territorio nazionale e possa monitorare la circolazione dei virus influenzali in tutte le classi di età;
– estendere la sorveglianza ai soggetti in contatto con il serbatoio animale;
– standardizzare le metodologie di rilevamento e caratterizzazione virale;
– effettuare una diagnostica più rapida ed accurata dei cluster di polmoniti e influenza-like illness, che potrebbero rappresentare il primo segnale dell’introduzione di un virus emergente o riemergente nella comunità. L’implementazione dell’attività di sorveglianza permette una più precoce attivazione della risposta di Sanità Pubblica al fine di contenere e controllare il rischio di diffusione della malattia.
La sorveglianza in periodo di allerta pandemico – fasi 3 – 4 – 5
Quando si verificano diversi eventi con potenziale virus pandemico, è necessario rafforzare la sorveglianza epidemiologica e virologica per monitorare meglio lo sviluppo della minaccia. Il tipo di sorveglianza dipende da dove è stato isolato il virus (uomo o animali) e dove si pensa si diffonderà il nuovo ceppo (area geografica).
In ogni caso, a partire dalla fase 3, è necessario che oltre alla sorveglianza di tipo campionario, venga implementata la rilevazione, epidemiologica e virologica, in modo da individuare tempestivamente i casi/situazioni che rispondono ad una determinata definizione. La sorveglianza epidemiologica e virologica, intesa come rilevamento e registrazione dei casi possibili, secondo le definizioni previste da ISS-CCM, aumenta il proprio raggio di osservazione in relazione alle diverse fasi.
Sorveglianza epidemiologica
Consiste nella capacità di porre sotto osservazione particolari gruppi di soggetti che presentano un maggior rischio di contagio da virus potenzialmente pandemico, in modo da cogliere tempestivamente l’insorgenza di quadri clinici sospetti. Allo stato attuale l’unico agente per il quale si sospetta una potenzialità pandemica è H5N1 e, dunque, sono i soggetti che si trovano in condizioni di esposizione a tale virus che debbono essere posti sotto sorveglianza. Secondo le attuali definizioni OMS e le conoscenze di tipo epidemiologico, le categorie da sottoporre a sorveglianza epidemiologica in fase 3 sono costituite da:
– soggetti professionalmente esposti (allevatori a contatto con focolai animali di I.A. da H5N1, personale adibito all’abbattimento in caso di focolaio da I.A., laboratoristi che debbano processare campioni biologici di soggetti o animali con sospetta infezione da H5N1);
– viaggiatori provenienti da aree con documentata presenza di focolai da H5N1 che siano venuti a stretto contatto con allevamenti/animali;
– contatti stretti di pazienti cui sia stata diagnosticata una patologia da H5N1. Per quanto riguarda i soggetti professionalmente esposti, ed in particolare allevatori/addetti agli abbattimenti, la Circ. 6/SAN/2006 ha fornito indicazioni: tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo, siano venuti a contatto con animali affetti da H5N1 devono essere posti sotto sorveglianza dalla ASL (informazioni, contatti quotidiani sino a 10 gg dopo l’ultima esposizione…). Per quanto attiene i viaggiatori provenienti da aree infette e che abbiano avuto contatti con volatili (anche nel caso in cui non vi sia documentazione sullo stato sanitario di questi ultimi), è necessario che si provveda ad una capillare informazione, al momento dell’entrata nel nostro Paese, in merito alle misure precauzionali generali da utilizzare nei 10 giorni successivi al rientro e recapiti e riferimenti in caso di sintomatologia sospetta.
Qualora la situazione epidemiologica dei Paesi esteri si aggravi, con estensione dei focolai, è necessario che i soggetti che rispondono alle esposizioni di cui sopra, siano individuati e contattati quotidianamente al pari dei lavoratori esposti.
A partire dalla fase 4 – livello 1, oltre a quanto sopra è necessario estendere la sorveglianza epidemiologica su soggetti che pur non avendo un rischio specifico di esposizione, si trovino in situazioni atipiche che necessitano di essere indagate anche in riferimento al possibile rischio pandemico.
Pertanto dovranno essere attivati, in ambito ospedaliero e tramite gli abituali sistemi di rilevazione, quali i Comitati di lotta alle infezioni ospedaliere-CIO, strumenti per:
– pronta individuazione di cluster intraospedalieri di ILI tra gli operatori sanitari o cluster di morti inattese per ILI/IRA in strutture di assistenza sanitaria;
– indagine epidemiologica per l’identificazione dell’agente patogeno coinvolto e delle possibili modalità di diffusione dell’infezione,
– attivare le misure di prevenzione e controllo generale per le infezioni respiratorie (protocolli di isolamento, sanificazione e disinfezione, controllo post-dimissione…).
Nella fase di pandemia conclamata – livello 6, è importante che sia la sorveglianza epidemiologica che quella virologica vengano mantenute.
I dati della sorveglianza epidemiologica sono cruciali per pianificare l’utilizzazione delle risorse e l’impiego degli operatori sanitari, mentre la sorveglianza virologica, effettuata su un numero limitato di campioni, è necessaria soprattutto per monitorare le caratteristiche del virus, vista la minore importanza, in questa fase, della conferma di laboratorio dei singoli casi. Tuttavia le modalità della sorveglianza in tale fase, anche in relazione alle dimensioni del fenomeno ed alle caratteristiche virologiche, saranno definite successivamente.
Sorveglianza virologica
I casi soggetti a sorveglianza epidemiologica che manifestino sintomi sospetti saranno sottoposti ad accertamenti secondo i protocolli specifici di cui al seguente allegato.
Sotto-allegato c
DEFINIZIONE, INDIVIDUAZIONE E GESTIONE DEI CASI SOSPETTI – FASE 3
Come già segnalato definizioni e modalità di gestione dei casi sono strettamente correlate alle caratteristiche del/i virus potenzialmente pandemico: pertanto le seguenti indicazioni hanno valenza esclusivamente col presupposto che la pandemia sia sostenuta da una mutazione del virus H5N1.
(omissis)
Sotto-allegato d
LE MISURE DI CONTROLLO DEI CASI
Perché la rilevazione di casi si attivi è necessario che tutti i medici che dovessero osservare soggetti nelle condizioni di cui sopra (ILI + esposizione) siano informati sulla necessità di:
– segnalare all’ASL il caso, tramite il flusso informativo delle malattie infettive [1] già in essere in ciascuna ASL;
– far adottare al soggetto le misure di prevenzione generale (evitare contatti ravvicinati bocca-bocca con altre persone, lavare frequentemente le mani, non frequentare luoghi affollati, utilizzare fazzoletti monouso, aerare regolarmente l’abitazione, coprirsi la bocca ogni volta che si tossisce e poi lavarsi le mani, coprirsi il naso ogni volta che si starnutisce e poi lavarsi le mani);
– di concerto col medico ASL:
– inviare il caso sospetto per la valutazione ed eventuale ricovero all’U.O. di Malattie Infettive più vicina (previo contatto diretto e invio con percorso preferenziale); in tal caso:
– durante il trasporto con comune automezzo al paziente va applicata una mascherina chirurgica; il numero delle persone in auto deve essere limitato e comunque il caso non deve essere affiancato da altre persone;
– qualora le condizioni cliniche siano gravi il trasporto sarà effettuato in ambulanza con le apposite misure di isolamento respiratorio;
– il caso seguirà un percorso separato al momento dell’accettazione e sarà alloggiato in una camera singola in regime di isolamento respiratorio;
– nell’impossibilità di procedere al ricovero, mantenere il caso presso il proprio domicilio, se sussistono le condizioni per garantirne l’isolamento respiratorio, ed effettuare il prelievo per gli accertamenti virologici necessari, che sarà inviato a cura dell’ASL, al più vicino Laboratorio di Microbiologia afferente alla rete regionale (vedi sotto-allegato a).
Va ricordato che gli operatori sanitari che vengono a contatto col caso – medico curante, personale ASL – debbono adottare le misure di isolamento respiratorio, utilizzando camice, copricapo, guanti e mascherina chirurgica. Per i casi in cui il soggetto dovesse pervenire direttamente all’osservazione in ambiente ospedaliero, tramite ad esempio il Pronto Soccorso, o per i cluster, le ASL concorderanno con le Strutture di ricovero del proprio territorio, specifici protocolli per la segnalazione, l’eventuale invio di campioni ai Laboratori della rete, il controllo e la sorveglianza sui contatti dei casi accertati. Per quanto riguarda i contatti dei casi sospetti, l’ASL, a fronte della segnalazione pervenuta dal medico del territorio o ospedaliero, provvederà a:
– in fase di sospetto:
– individuare i soggetti conviventi del caso, informandoli della necessità di adottare le misure preventive di carattere generale;
– successivamente all’accertamento:
– valutare l’opportunità di sottoporre i contatti stretti a chemioprofilassi con antivirali;
– sottoporre a sorveglianza sanitaria per 10 gg. dall’ultima esposizione i soggetti conviventi (effettuando quotidianamente un contatto telefonico)
– sospendere la frequenza in collettività
– inviare in caso di insorgenza di sintomatologia all’U.O. di Malattie Infettive più vicina (previo contatto diretto e invio con percorso preferenziale); il trasporto dovrà avvenire secondo le modalità sopraindicate.
[1] In base alla Delib.G.R. n. 18853 del 2004 ciascuna ASL deve aver attivato un sistema di recepimento delle segnalazioni di malattia infettiva, attivo 24/24
Sotto-allegato e
VACCINAZIONE
(omissis)
Sotto-allegato f
UTILIZZO DEI FARMACI ANTIVIRALI
(omissis)

Dopo essersi dotato di questo dettagliatissimo set di prescrizioni, corredato da tempistiche minuziose, attribuzioni di responsabilità assai puntuali, e da una sincopata proceduralizzazione della risposta all’emergenza pandemica in generale (anche se in alcune misure di dettaglio il piano focalizzava l’attenzione sul virus dell’influenza aviaria H5N1 deflagrato nel 2003 nel sud est asiatico, ma già manifestatosi in Italia a partire dal 1997), con l.r. 12 dicembre 2007, n. 32, recante «Istituzione dell’Azienda regionale dell’emergenza urgenza, modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 luglio 1997, n. 31», il legislatore lombardo ritenne che, per garantire effettività a un piano pandemico come quello esaminato e ad altre misure destinate a fronteggiare improvvise emergenze sanitarie, un territorio articolato e densamente popolato come quello della Lombardia avrebbe dovuto beneficiare di un’apposita articolazione amministrativa del sistema sanitario regionale, dotata di personale, competenze specifiche e di un proprio budget. Si trattava a tutti gli effetti di una sorta di super ASL regionale, incaricata di coordinare la gestione di future emergenze/urgenze sanitarie sull’intero territorio lombardo.

Vedeva così la luce l’Agenzia Regionale per l’Emergenza Urgenza (AREU), i cui compiti erano scanditi nel modo che segue dall’art. 3-bis che la novella immetteva nel corpo della allora vigente legge sul sistema sanitario regionale del 1997.

Art. 3-ter
Azienda regionale dell’emergenza urgenza.
  1. È istituita l’Azienda regionale dell’emergenza urgenza (AREU), dotata di personalità giuridica di diritto pubblico, avente autonomia patrimoniale, organizzativa, gestionale e contabile. L’Azienda è preposta allo svolgimento dei compiti relativi all’emergenza urgenza.
  2. Sono organi dell’Azienda il direttore generale e il collegio dei revisori. Il direttore generale è coadiuvato, nell’esercizio delle sue funzioni, dal direttore amministrativo e dal direttore sanitario. Per gli organi e per le figure del direttore sanitario e amministrativo si applicano, in quanto compatibili, le stesse disposizioni vigenti per le aziende ospedaliere.
  3. La Giunta regionale, entro 180 giorni, acquisito il parere delle commissioni consiliari competenti, definisce la sede, la struttura organizzativa, il patrimonio e le funzioni operative dell’Azienda regionale dell’emergenza urgenza, ivi compreso il servizio di elisoccorso, secondo le indicazioni del piano socio-sanitario di cui all’articolo 1, comma 5.

Giova sottolineare che tale previsione normativa non rimase lettera morta nel Bollettino ufficiale delle leggi regionali, ma venne subito seguita da una dettagliata delibera operativa della Giunta regionale di cui, ancora una volta, si ripropone il testo integrale (i grassetti sono aggiunti)[46].

Attivazione dell’Azienda Regionale Emergenza Urgenza (A.R.E.U.) in attuazione della L.R. n. 32/2007 «Istituzione dell’Azienda Regionale dell’Emergenza Urgenza, modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 luglio 1997, n. 31 (Norme per il riordino del servizio sanitario regionale e sua integrazione con le attività dei servizi sociali)».
La Giunta regionale
Richiamata la Delib. C.R. 26 ottobre 2006, n. VIII/257 «Piano Socio Sanitario 2007-2009» (PSSR) che prevede la costituzione dell’Azienda Regionale dell’Emergenza Urgenza, quale struttura tecnico-organizzativa con articolazioni territoriali e con il compito di programmazione generale dell’attività di Emergenza Urgenza (EU), basata su:
– obiettivi strategici individuati dalla Giunta regionale su proposta dell’Assessore alla Sanità;
– analisi dei flussi informativi di attività provenienti dalle Centrali operative, dagli Erogatori delle prestazioni, dalle Aziende Sanitarie locali;
– analisi territoriale con il contributo delle ASL, degli enti locali, dei soggetti erogatori e del volontariato;
– definizione – per la stipula dei contratti, accordi e capitolati – dei requisiti tecnici, organizzativi e professionali per i soggetti erogatori di prestazioni, nonché delle modalità di controllo per il mantenimento dei requisiti e delle prestazioni erogate;
– programmazione della formazione degli operatori professionali e volontari;
– gestione delle reti radiotelefoniche ed informatiche dedicate all’emergenza;
gestione di acquisizioni centralizzate di beni e servizi;
– attuazione dei piani regionali per emergenze di massa, interventi di soccorso internazionale, rischi di particolare rilevanza;
Vista la L.R. 12 dicembre 2007, n. 32 «Istituzione dell’Azienda Regionale dell’Emergenza Urgenza, modifiche e integrazioni alla legge regionale 11 luglio 1997, n. 31 (Norme per il riordino del Servizio sanitario regionale e sua integrazione con le attività dei servizi sociali)» che istituisce l’Azienda Regionale Emergenza Urgenza (A.R.E.U.) e che, al comma 3 dell’art. 3-ter, dà mandato alla Giunta regionale, di definire, entro 180 giorni, acquisito il parere delle competenti Commissioni Consiliari, la sede, la struttura organizzativa, il patrimonio e le funzioni operative dell’Azienda Regionale dell’Emergenza Urgenza, ivi compreso il servizio di elisoccorso, secondo le indicazioni del PSSR 2007-2009;
Richiamate:
  1. la Delib. G.R. 3 dicembre 1986, n. 4/15290, con cui è stato in via definitiva istituito il servizio di elisoccorso assistito, e che mediante successivi atti amministrativi la Giunta regionale ha ulteriormente definito l’organizzazione del servizio di soccorso sanitario con elicottero sul territorio della Regione Lombardia, approvando con Delib. G.R. 9 giugno 1987, n. 21466 il «Regolamento di elitrasporto assistito sul territorio regionale», e istituendo, con Delib. G.R. 26 febbraio 2001, n. 3524, in via sperimentale per la durata di un anno, l’attivazione del volo notturno con elicottero sanitario;
  2. la Delib. G.R. 8 aprile 1997, n. 6/27099 avente ad oggetto «Atto di indirizzo per il riordino del Sistema Urgenza Emergenza in Lombardia»;
  3. la Delib. G.R. 17 luglio 1998, n. 6/37434 avente ad oggetto «Approvazione dei piani di cui ai punti 15 e 18 del documento di cui al punto 17 della Delib. G.R. 8 aprile 1997, n. 6/27099 «Atto di indirizzo per il riordino del Sistema Urgenza Emergenza in Lombardia» che approva i documenti predisposti dall’Assessorato Regionale alla Sanità, redatti dalle commissioni nominate “ad hoc” con decreti del direttore generale D.G. Sanità n. 57706 e 57707 del 20 giugno 1997;
  4. la Delib. G.R. 28 giugno 1999, n. 6/4918 avente ad oggetto «Delib. G.R. n. VI/932/1998 «Atto programmatorio relativo al punto 2 della Delib. G.R. 8 aprile 1997, n. 6/27099: “Atto di indirizzo per il riordino del Sistema Urgenza Emergenza in Lombardia” concernente linee e indicatori per la distribuzione delle funzioni specialistiche e individuazione dei presidi per le attività di emergenza e urgenza, nonché determinazioni in ordine alle tariffe di remunerazione delle prestazioni di trasporto e ospedaliere»;
  5. la Delib. G.R. 22 ottobre 1999, n. 6/45819 avente ad oggetto «Complesso degli interventi attuativi e degli indirizzi organizzativi volti ad assicurare concretamente lo sviluppo del servizio di emergenza ed urgenza 118 in esecuzione dei provvedimenti di riordino assunti dalla Regione Lombardia con Delib. G.R. 8 aprile 1997, n. 6/27099, Delib. G.R. 17 giugno 1998, n. VI/932 e Delib. G.R. 17 luglio 1998, n. 6737434»;
  6. la Delib. G.R. 23 febbraio 2004, n. 7/16484 avente ad oggetto «Ridefinizione del Comitato di Coordinamento Regionale per l’Emergenza-Urgenza (C.R.E.U.). Istituzione dell’Area di Coordinamento per l’Emergenza Urgenza (A.C.E.U.) e della Conferenza Generale per l’Emergenza Urgenza (CO.G.E.U.) e conseguente abrogazione dei punti 7, 8, 9 e modifica del punto 13 della Delib. G.R. 8 aprile 1997, n. 6/27099 (a seguito di parere della Commissione Consiliare competente)»;
  7. la Delib. G.R. 4 agosto 2005, n. 7/504 avente ad oggetto «Approvazione del documento “Indicazioni operative per la gestione di emergenze sanitarie”» che definisce la mappa di distribuzione territoriale delle dotazioni di antidoti da utilizzarsi in pazienti gravemente intossicati con aggressivi chimici non convenzionali, da mandato alle strutture ospedaliere di attivare la programmazione dei Piani di Emergenza per il Massiccio Afflusso di Feriti, attiva il servizio di elisoccorso notturno presso le centrali operative di Milano e Como, prevede l’acquisizione di posti medici avanzati di primo livello per un totale di 100 posti letto da distribuire ai S.S.U. Em. 118 regionali e promuove la predisposizione di piani per fronteggiare le emergenze stagionali di ricovero;
Considerato che la costituzione dell’A.R.E.U., rappresenta un’ulteriore fase di evoluzione del sistema che ha come obiettivi generali quanto definito nel PSSR 2007-2009 e che in particolare si ritiene superata l’organizzazione puntiforme della rete di emergenza territoriale, risultando necessario attivare modalità organizzative che assicurino l’azione pre-ospedaliera e l’integrazione con le strutture ospedaliere, attraverso percorsi garantiti, autonomi, dedicati e privilegiati e la gestione dell’emergenza urgenza in una prospettiva integrata di sistema, e in coerenza con le indicazioni programmatorie di piano;
Ritenuto che il concetto di centrale operativa dedicata alla gestione esclusiva dell’emergenza debba essere superato dall’introduzione di nuove funzionalità che, in considerazione dell’ampia esperienza acquisita dagli operatori e della struttura organizzativa delle centrali operative, riescano a fornire un valore aggiunto alla gestione di reti complesse, come la rete per il trattamento delle sindromi coronariche acute o dell’ictus, o integrarsi con nuove reti;
Ritenuto necessario sviluppare le funzionalità di centrale operativa, ove presenti, relative alla gestione dei trasporti interospedalieri ed alla integrazione tecnologica ed operativa con il servizio di continuità assistenziale o, se non presenti, di prevederne l’implementazione, ed il relativo adeguamento tecnologico e di personale;
Valutata l’esigenza di integrare le informazioni derivate dal sistema informatizzato in uso presso le centrali operative con il complesso di informazioni generate dal sistema delle reti di patologia, compresa la gestione delle disponibilità delle risorse ospedaliere – Rete Emergenza Urgenza on Line (E.U.O.L.) inserite nel progetto CRS-SISS, superando le criticità legate alla differente disponibilità di informazioni mediante la razionalizzazione e l’interfacciamento dell’attuale sistema informatico gestionale delle centrali operative con i sistemi informativi aziendali, porta d’ingresso verso il sistema regionale, e la necessità di attivare progetti per la definizione e l’ottimizzazione di modelli organizzativi, basati anche sull’utilizzo di sistemi esperti, con lo scopo di migliorare le capacità decisionali del sistema;
Ritenuto di proseguire l’iter di certificazione di qualità, già intrapreso da alcune centrali operative, ed estendere il percorso comune teso al raggiungimento dell’uniformità in termini di protocolli operativi, gestionali, decisionali, e di linguaggio tra le centrali operative, attivando anche percorsi nell’ambito il modello Joint Commission International-Regione Lombardia;
Precisato come la seconda fase di intervento del sistema emergenza urgenza sia costituita dalla rete territoriale dei mezzi di soccorso, attualmente distribuiti sul territorio, con criteri basati sulla densità demografica e sulle caratteristiche morfologiche dell’area, e che il sistema si articola su tre livelli, prevedendo:
* un primo livello o di base, con personale appartenente ad Associazioni di volontariato, Cooperative sociali, ed Enti a bordo di mezzi forniti dai medesimi soggetti;
* un secondo livello, definito avanzato, con personale medico, infermieristico e tecnico, dipendente o convenzionato con il S.S.R. a bordo di mezzi regionali;
* il terzo livello, attivato in alcune realtà, con personale infermieristico e tecnico dipendente dal S.S.R. a bordo di mezzi forniti dagli Enti/Organizzazioni e Associazioni o Regionali;
Preso atto altresì che tale modello di intervento sanitario extraospedaliero costituisce un sistema in grado di garantire, allo stato attuale, prestazioni di elevato standard qualitativo e che rappresenta una fase implementativa su cui sviluppare ulteriori processi di miglioramento e razionalizzazione, privilegiando modelli integrati di assistenza con coinvolgimento progressivo di professionalità appartenenti al Servizio Sanitario Regionale;
Valutata l’esigenza di garantire un assetto organizzativo territoriale tale da fornire ai cittadini pari opportunità qualitative e quantitative di assistenza in emergenza urgenza, coniugando esigenze di programmazione con i processi di miglioramento continuo della qualità, anche in attuazione del principio della realizzazione di economie di scala, realizzato attivando procedure uniche per l’acquisizione di beni e servizi, compresa la parte tecnologica, per l’adeguato funzionamento della rete territoriale e la sua gestione, inclusa la razionalizzazione dei criteri di distribuzione dei mezzi di base e avanzati, compreso il mezzo infermieristico, sul territorio;
Evidenziata la necessità di razionalizzare la rete di soccorso mediante elicottero anche attraverso l’integrazione quali-quantitativa delle basi regionali, attivando ove possibile meccanismi di vicariamento e promuovendo attività specialistiche con particolare riferimento al trasporto secondario, garantendo in questo settore uniformità delle prestazioni ed efficacia ed efficienza operativo-organizzativa su tutto il territorio regionale, avvalendosi anche del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico;
Rilevato che la disponibilità del personale sanitario appartenente al S.S.R. viene garantita, nell’attuale fase, dalle strutture sanitarie sede di Centrale Operativa o di mezzo di soccorso avanzato per quanto riguarda la componente infermieristica e che il personale medico è reso disponibile, in ottemperanza alla Delib. G.R. n. 6/45819/1999, dalle strutture sanitarie sede di Centrale Operativa o di mezzo di soccorso avanzato, dalle ASL competenti per territorio, dall’Università o da altre forme di collaborazione professionale;
Evidenziata l’opportunità di perfezionare la definizione dei criteri quali-quantitativi relativi agli standard del personale del S.S.R., in servizio presso le Centrali Operative e/o operativo sui mezzi di soccorso, e che, per quanto attiene al personale sanitario convenzionato con la ASL, ai sensi dell’art. 91 dell’Accordo per la medicina generale sottoscritto in data 23 marzo 2005, la costituenda A.R.E.U. accertata la necessità e valutata la coerenza con il sistema, dovrà provvedere a definirne il fabbisogno, in sintonia con quanto determinato dalla Direzione Generale Sanità;
Sottolineato come il Volontariato, attraverso le proprie organizzazioni, sia da sempre una componente indispensabile e attiva nel sistema emergenza urgenza gestito dalle centrali operative e come le articolazioni regionali ANPAS Lombardia, Croce Bianca, Croce Rossa Italiana, insieme ad altre realtà appartenenti al mondo del volontariato, abbiano sviluppato la loro attività interagendo con le centrali operative di tutta la Regione, contribuendo:
* ad affinare percorsi gestionali, amministrativi e formativi a valenza regionale;
* a garantire livelli qualitativi sia nelle situazioni di maxiemergenze o di prevenzione, che di momentanee esigenze di implementazioni di risorse sul territorio;
* a garantire modalità di collaborazione nei settori di intervento in contesti attinenti all’attività di soccorso e assistenza territoriale – gestione degli eventi sportivi, manifestazioni, attività di soccorso in aree cantieristiche;
Dato atto che i presidi della rete ospedaliera del sistema dell’emergenza urgenza sono già stati indicati nella Delib. C.R. n VI/932/1998 e s.m.i, ed articolati secondo i diversi livelli di assistenza, l’obiettivo conseguente è quello di costituire reti ospedaliere per la gestione delle specifiche patologie o classi di patologie – Infarto, Ictus cerebrale, Trauma, ecc. – collocate nell’ambito delle direttive del P.S.S.R. 2002-2004 e 2007-2009 in materia di riorganizzazione dell’emergenza urgenza, mirata alla definizione di un modello organizzativo di integrazione a rete dell’assistenza intra ed extra ospedaliera;
Ritenuto che il processo di implementazione, con utilizzo di sistemi informatizzati integrati con il sistema regionale CRS – SISS, delle strutture ospedaliere che insistono su aree omogenee, di un «ospedale virtuale», costituito dall’insieme delle risorse disponibili, può contribuire ai processi di razionalizzazione organizzativa ed a rendere più efficiente il processo di ricovero del paziente nelle strutture idonee, dotate di risorse necessarie e disponibili per la patologia in atto;
Ritenuto che conseguenza di tale impostazione sia la definizione di indicatori di processo e risultato che, inseriti nei protocolli operativi condivisi, potranno costituire parte integrante e sostanziale dei contratti stipulati e che gli esiti di risultato saranno oggetto di monitoraggio secondo le procedure vigenti e dovranno favorire e promuovere la partecipazione all’attività di audit degli attori del sistema dell’emergenza-urgenza;
Evidenziato che l’organizzazione di momenti di confronto con gli operatori delle ASL affinché vengano condivisi indirizzi tecnico-operativi che consentano di poter garantire, in modo uniforme su tutto il territorio regionale, l’applicazione delle disposizioni vigenti in materia di trasporto sanitario, dei protocolli di vigilanza e controllo delle prestazioni erogate nel sistema di emergenza-urgenza, con verifica dei P.D.T. territoriali sui mezzi di soccorso di base, avanzato – automediche – ed elisoccorso e delle procedure in contesti operativi specifici, rappresenta un ulteriore elemento di qualificazione del rapporto tra le componenti del sistema;
Attesa inoltre l’esigenza di controllare e monitorare gli elementi organizzativi ed epidemiologici del sistema emergenza urgenza, anche attraverso atti di programmazione ed integrazione con le componenti territoriali, in particolare mediante collaborazione con Aziende Ospedaliere e ASL per la definizione comune di piani straordinari di intervento in situazioni prevedibili di pandemia, emergenze legate a fenomeni meteorologici estremi, ecc.
Sottolineato che l’attività del sistema Emergenza Urgenza in ambiti di maxiemergenza costituisce un test operativo e organizzativo per le Centrali Operative in grado di fornire indicazioni anche sui livelli di efficienza raggiunti in contesti di ordinaria operatività e che in tal senso la stretta collaborazione, sin dalla fase di pianificazione e redazione dei protocolli singoli e comuni agli Enti/Associazioni e Organizzazioni che, a vario titolo partecipano alla gestione dell’evento, costituisce l’elemento qualificante dei piani di maxiemergenza;
Dato atto che la componente sanitaria in tutte le sue articolazioni – sistema 118, enti e associazioni di soccorso, ASL, rete ospedaliera, prevenzione – deve essere in grado di rapportarsi con le componenti tecniche del soccorso, le forze dell’ordine, la protezione civile, gli organismi di governo locale e centrale e che risulta pertanto quanto mai opportuna un opera di coordinamento delle centrali operative e delle strutture sanitarie nella rete delle grandi emergenze, con capacità d’indirizzo e verifica sull’attuazione dei protocolli operativi e dei piani di risposta alle catastrofi;
Considerato che gli attuali percorsi formativi, definiti con atti regionali, attribuiscono il ruolo di formatore del personale operante sui mezzi di soccorso di base alla centrale operativa di competenza, in sinergia con le Enti, Associazioni di volontariato e loro organismi rappresentativi, Organizzazioni e Cooperative sociali;
Precisato che la formazione del personale infermieristico e tecnico compete alla Centrale Operativa di riferimento che attiva, in raccordo con l’A.R.E.U., corsi definiti con atti di programmazione regionale, sia in termini di contenuti che di durata;
Valutato che la formazione del personale medico, ad eccezione del personale convenzionato con la ASL, ai sensi dell’art. 91 dell’Accordo per la medicina generale sottoscritto in data 23 marzo 2005, è definita in modo puntuale con atti regionali, solo per alcuni ambiti, e che in tal senso si ritengono opportune sinergie tra le Università, le Società Scientifiche, le Centrali Operative coordinate dall’A.R.E.U. e gli Organismi regionali ai quali competono iniziative formative, per definire percorsi formativi e di aggiornamento volti ad una qualificazione uniforme e mirata delle attività di emergenza, alla valorizzazione delle competenze tecniche delle singole professionalità, all’individuazione di modalità operative integrate, interdisciplinari ed interprofessionali;
Ritenuto di attribuire il finanziamento individuato nelle funzioni specifiche non coperte da tariffe predefinite, relative all’emergenza-urgenza, incrementato della quota necessaria per l’implementazione e sviluppo del sistema, quale risorsa economica della costituenda A.R.E.U.;
Preso atto che gli organismi di coordinamento generale per l’Emergenza Urgenza hanno svolto e svolgono un ruolo rilevante rispetto agli intenti complessivamente previsti dalla Delib. G.R. n. 6/27099/1997;
Rilevata inoltre la funzione di supporto specialistico alla struttura di governance del sistema urgenza emergenza dei Gruppi di Approfondimento Tecnico – G.A.T. -, costituiti dalla Direzione Generale Sanità, in relazione alle problematiche tecniche e organizzative individuate, ivi compresi gli aspetti tecnologici e di qualità dei processi, inerenti le maxiemergenze, didattici e l’attività di elisoccorso;
Ritenuto pertanto:
  1. di attivare l’Azienda Regionale Emergenza Urgenza (A.R.E.U.), dotandola di sede, struttura organizzativa, patrimonio, e funzioni operative dell’area emergenza e urgenza extraospedaliera;
  2. di individuare quale sede dell’Azienda Regionale Emergenza Urgenza (A.R.E.U.) la struttura sita in Milano, viale Monza 223;
  3. di stabilire che la dotazione patrimoniale iniziale non debba prevedere alcun apporto da altri enti di sistema, basandosi, il modello A.R.E.U., su convenzioni in comodato d’uso degli automezzi, delle componenti tecnologiche e dei presidi sanitari, già in capo alle Centrali Operative. Nel corso dello sviluppo della attività previste l’A.R.E.U. potrà procedere, nel rispetto delle indicazioni Regionali e della normativa vigente, all’acquisizione di automezzi, apparecchiature, supporti informatici ed ogni altro bene ritenuto necessario per il corretto operare del sistema di urgenza emergenza territoriale;
  4. di definire una struttura organizzativa snella e flessibile che si avvarrà delle risorse e delle reti organizzative già oggi presenti e utilizzate per tale attività nelle strutture sanitarie regionali;
  5. di prevedere, quale assetto organizzativo, oltre alla Direzione Strategica – già definita nel comma 2 dell’art. 3-ter della L.R. n. 31/1997 – una struttura di coordinamento e di gestione delle funzioni agile ed essenziale, dedicata agli aspetti organizzativi amministrativi e tecnici, alla verifica ed al mantenimento dei processi volti al miglioramento della qualità, connessi alle attività relative alle maxiemergenze ed alle specificità tecnologiche del sistema, in stretta collaborazione con gli organismi Regionali competenti. La struttura sarà articolata in quattro aree denominate:
– area operativa – con funzioni specifiche in ambito di attività in urgenza emergenza, rapporti con le strutture sanitarie e operatori sanitari nel soccorso extraospedaliero, rapporti con il settore del volontariato, trasporto organi e tessuti e coordinamento delle funzioni del C.R.C.C.;
– area prevenzione, qualità, tecnologia, formazione e personale – con funzioni specifiche in ambito dei servizi informativi, statistico epidemiologici, di prevenzione, medico legali e didattici;
– area economico-finanziaria e provveditorato;
area grandi emergenze internazionali – con funzioni specifiche dedicate all’analisi dei protocolli internazionali per la gestione degli eventi catastrofici;
  1. di prevedere altresì una fase di transizione, necessaria per la completa assunzione delle funzioni previste al punto 7, in attesa di rendere operativa la sede definitiva, durante la quale l’A.R.E.U. potrà avvalersi di strutture, funzioni logistiche e supporto da parte di strutture sanitarie con disponibilità di locali funzionalmente attigui alla sede di Centrale Operativa;
  2. di indicare quali compiti dell’A.R.E.U.:
  3. a) definizione – per la stipula di contratti, accordi e capitolati – dei requisiti tecnici, organizzativi e professionali per i soggetti erogatori di prestazioni in ambito urgenza emergenza extraospedaliera, nonché delle modalità di controllo del mantenimento dei requisiti e delle prestazioni erogate;
  4. b) definizione dei percorsi organizzativi di interfaccia con le strutture sanitarie sede di centrale operativa e/o mezzi di soccorso di base o avanzato;
  5. c) definizione e controllo delle modalità di acquisizione da Enti, Associazioni di volontariato o loro Organismi Rappresentativi, Organizzazioni e Cooperative Sociali, di personale e servizi per lo svolgimento delle attività con i mezzi di soccorso di base e avanzato, considerando, ove previsto, i principi di sussidiarietà;
  6. d) definizione della modalità di gestione di acquisizioni di beni e servizi, in dettaglio:
  7. Definizione degli standard e delle modalità di acquisizione delle apparecchiature sanitarie, dei presidi e dei relativi servizi in uso al S.S.U. Em. Regionale;
  8. Definizione degli standard e delle modalità di acquisizione delle componenti tecnologiche e dei relativi servizi per il Sistema informatico gestionale, sistema telefonico, sistema di registrazione, sistema radio, sistema di videosorveglianza, in uso al S.S.U. Em. Regionale;
III. Definizione delle modalità di acquisizione dei servizi relativi alle reti radiotelefoniche ed informatiche dedicate all’emergenza ed in uso al S.S.U. Em. Regionale;
  1. Definizione delle modalità di acquisizione dei servizi per l’attività di Elisoccorso;
  2. Definizione delle modalità di acquisizione dei mezzi soccorso su ruota di proprietà del S.S.U. Em. Regionale;
  3. e) definizione delle categorie di beni e servizi che possono essere oggetto di acquisizione centralizzata. Promozione, incentivazione e definizione delle modalità di acquisizione centralizzata di dette categorie di beni e servizi;
  4. f) valutazione dell’evoluzione delle tecnologie di supporto e necessarie per il funzionamento delle centrali operative del S.S.U. Em. Regionale;
  5. g) definizione dei percorsi organizzativi interni, delle procedure e dei protocolli dei S.S.U. Em. Regionali;
  6. h) definizione dei criteri di ottimizzazione per l’impiego delle risorse umane e materiali, nell’ambito delle attività dell’area emergenza urgenza inter ed intraprovinciale;
  7. i) rendicontazione delle attività per la remunerazione delle funzioni svolte in materia di emergenza urgenza extraospedaliera;
  8. j) organizzazione e gestione del coordinamento intraregionale e interregionale delle attività trasfusionali e dei flussi di scambio e compensazione di sangue ed emocomponenti attraverso il progressivo trasferimento delle funzioni del C.R.C.C.;
  9. k) progressiva implementazione del coordinamento della funzione di trasporto organi e tessuti;
  10. l) elaborazione ed applicazione di protocolli di intervento e di accesso al sistema ospedaliero, in particolare per le emergenze ed urgenze cardio-cerebrovascolari, traumatologiche e pediatriche;
  11. m) programmazione ed erogazione della formazione e dell’aggiornamento al personale dipendente o convenzionato con il S.S.R. ed agli operatori, professionisti e volontari, appartenenti ad Enti, Associazioni di volontariato, Organizzazioni e Cooperative Sociali, questi ultimi attraverso i centri di formazione degli organismi associativi già riconosciuti come risorsa formativa regionale o accreditati, in applicazione dei programmi definiti in sede di programmazione regionale;
  12. n) elaborazione ed applicazione dei piani e programmi sperimentali e di simulazione di eventi e situazioni dell’emergenza-urgenza;
  13. o) integrazione della risposta locale alla maxiemergenza, secondo protocolli definiti e attuazione di piani regionali per emergenze di massa, interventi di soccorso internazionale, rischi di particolare rilevanza. Interazione, per quanto di competenza, con i soggetti istituzionali deputati alla gestione delle maxiemergenze;
  14. p) analisi dei volumi di attività e della qualità delle prestazioni erogate dal S.S.U. Em. regionale, applicazione delle procedure per raggiungere gli standard fissati dagli indicatori di qualità e prestazione del sistema. In previsione dell’accreditamento delle attività di emergenza-urgenza, l’A.R.E.U. è tenuta ad avviare il progetto di valutazione secondo il modello Joint Commission International-Regione Lombardia;
  15. q) valutazione analitica dell’impiego dei mezzi di trasporto e soccorso e dell’applicazione dei protocolli convenzionali con i soggetti autorizzati, compreso il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (C.N.S.A.S.), per l’attività di soccorso primario e secondario;
  16. r) progressiva estensione delle attività di coordinamento del servizio/gestione del contatto telefonico per i trasporti interospedalieri, delle attività di integrazione con la continuità assistenziale, in accordo con le determinazioni della Direzione Generale Sanità;
  17. s) integrazione con le attività dei M.M.G. e P.L.S., erogatori di cure domiciliari;
  18. t) collaborazione nella risposta alle emergenze di tipo socio-assistenziale (Anziani, Disabili, Assistiti a domicilio, ecc.);
  19. u) promozione di un’attività di comunicazione sui temi dell’Emergenza Urgenza indirizzata ad operatori/utenti/media e collaborazione con gli Uffici scolastici provinciali per attività di formazione/divulgazione sui temi dell’emergenza urgenza, in accordo con le indicazioni della Direzione Generale Sanità;
  20. v) acquisizione dalle strutture sanitarie sede di centrale operativa e/o mezzi di soccorso di base o avanzato dei contratti e delle convenzioni, in essere alla data del presente provvedimento, e verifica della loro conformità agli indirizzi dettati dalla Regione;
  21. w) definizione delle migliori sinergie funzionali atte a garantire la disponibilità, da parte delle strutture sanitarie sede di centrale operativa, di personale e servizi per le centrali operative, lasciando immutato l’originario rapporto di dipendenza del personale stesso;
  22. x) definizione delle migliori sinergie funzionali atte a garantire la disponibilità, da parte delle strutture sanitarie sede di Centrale Operativa e/o mezzi di soccorso avanzato, di personale e servizi per i mezzi di soccorso avanzato (compresi i mezzi infermieristici) ed elisoccorso, lasciando immutato l’originario rapporto di dipendenza del personale stesso;
  23. di stabilire che il personale appartenente alle strutture sanitarie sede di centrale operativa e/o mezzi di soccorso di base o avanzato e il personale sanitario convenzionato con la ASL, ai sensi dell’art. 91 dell’Accordo per la medicina generale sottoscritto in data 23 marzo 2005, impegnati nello svolgimento dei compiti relativi all’emergenza-urgenza territoriale, sono coordinati e diretti, limitatamente allo svolgimento di detti compiti, dall’A.R.E.U. con le sue articolazioni territoriali:
  24. di demandare al Direttore Generale dell’A.R.E.U. il compito di valutare le specificità di ciascun ambito territoriale regionale, al fine di predisporre o adeguare i programmi di intervento in ragione dei concreti bisogni delle realtà locali, nonché di acquisire riscontri sull’efficienza raggiunta dal sistema urgenza-emergenza. All’uopo, il direttore generale, con cadenza almeno annuale, è tenuto ad indire incontri con le ASL di riferimento;
  25. di assumere, con successivi atti, appositi provvedimenti per uniformare ed integrare il sistema di emergenza urgenza territoriale secondo le linee programmatiche tracciate in premessa;
  26. di attribuire alla costituenda A.R.E.U l’iniziale finanziamento annuo, individuato nelle funzioni specifiche non coperte da tariffe predefinite relative all’emergenza urgenza, incrementato della quota necessaria per l’implementazione e sviluppo della stessa e del sistema sanitario di emergenza urgenza territoriale, pari a 155 milioni di euro;
  27. di individuare il fabbisogno di personale dell’A.R.E.U. in base al modello organizzativo indicato ai precedenti punti 4 e 5;
  28. di stabilire che le risorse rese disponibili dalla Regione Lombardia rientrano nelle disponibilità complessive del Fondo Sanitario Regionale per l’esercizio 2008, precisando altresì che la spesa autorizzata è compatibile con le regole di gestione del sistema sanitario definite ex Delib. G.R. 31 ottobre 2007, n. 8/5743″;
  29. di pubblicare il presente provvedimento sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia sul sito web della Direzione Generale Sanità, ai fini della diffusione dell’atto.
Preso atto del parere tecnico favorevole del Comitato Regionale Emergenza Urgenza – C.R.E.U. – espresso nella seduta dell’11 marzo 2008;
Sentite le Organizzazioni Sindacali nella seduta dell’11 marzo 2008;
Preso atto delle seguenti raccomandazioni espresse dalla Commissione Consiliare competente alla Giunta regionale nella seduta dell’1° aprile 2008: «Si raccomanda alla Giunta regionale di trasmettere il Piano di Organizzazione Aziendale (POA), definito dalla Direzione dell’A.R.E.U., alla Commissione Consiliare competente e a valutare un confronto con le OO.SS. sulle tematiche del personale. Si raccomanda altresì di valutare la predisposizione di un progetto di legge sulle Organizzazioni di Volontariato impegnate nell’emergenza urgenza, ad analizzare i fabbisogni territoriali in una logica di continuità assistenziale ed a prevedere un organo consultivo della Direzione dell’A.R.E.U. in cui siano rappresentate le Organizzazioni di Volontariato regionali più rappresentative del settore dell’emergenza urgenza»;
Verificato che le risorse rese disponibili dalla Regione Lombardia rientrano nelle disponibilità complessive del Fondo Sanitario Regionale per l’esercizio 2008, precisando altresì che la spesa autorizzata è compatibile con le regole di gestione del sistema sanitario definite ex Delib. G.R. 31 ottobre 2007, n. 8/5743;
Ritenuto di pubblicare il presente provvedimento sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia sul sito web della Direzione Generale Sanità, ai fini della diffusione dell’atto.
Vagliate ed assunte come proprie le predette determinazioni;
A voti unanimi espressi ai sensi di legge
DELIBERA
  1. di attivare l’Azienda Regionale Emergenza Urgenza (A.R.E.U.), dotandola di sede, struttura organizzativa, patrimonio, e funzioni operative dell’area emergenza e urgenza extraospedaliera;
  2. di individuare quale sede dell’Azienda Regionale Emergenza Urgenza (A.R.E.U.) la struttura sita in Milano, viale Monza 223;
  3. di stabilire che la dotazione patrimoniale iniziale non debba prevedere alcun apporto da altri enti di sistema, basandosi, il modello A.R.E.U., su convenzioni in comodato d’uso degli automezzi, delle componenti tecnologiche e dei presidi sanitari, già in capo alle Centrali Operative. Nel corso dello sviluppo della attività previste l’A.R.E.U. potrà procedere, nel rispetto delle indicazioni Regionali e della normativa vigente, all’acquisizione di automezzi, apparecchiature, supporti informatici ed ogni altro bene ritenuto necessario per il corretto operare del sistema di urgenza emergenza territoriale;
  4. di precisare, quali linee di indirizzo atte a definire la struttura dell’A.R.E.U. la necessità di mantenere una struttura organizzativa snella e flessibile che si avverrà delle risorse e delle reti organizzative già oggi presenti e utilizzate per tale attività nelle strutture sanitarie regionali;
  5. di prevedere, quale assetto organizzativo, oltre alla Direzione Strategica – già definita nel comma 2 dell’art. 3-ter della L.R. n. 31/1997 – una struttura di coordinamento e di gestione delle funzioni agile ed essenziale, dedicata agli aspetti organizzativi amministrativi e tecnici, alla verifica ed al mantenimento dei processi volti al miglioramento della qualità, connessi alle attività relative alle maxiemergenze ed alle specificità tecnologiche del sistema, in stretta collaborazione con gli organismi regionali competenti. La struttura sarà articolata in quattro aree denominate:
– area operativa – con funzioni specifiche in ambito di attività in urgenza-emergenza, rapporti con le strutture sanitarie e operatori sanitari nel soccorso extraospedaliero, rapporti con il settore del volontariato, trasporto organi e tessuti e coordinamento delle funzioni del C.R.C.C.;
– area prevenzione, qualità, tecnologia, formazione e personale – con funzioni specifiche in ambito dei servizi informativi, statistico epidemiologici, di prevenzione, medico legali e didattici;
– area economico-finanziaria e provveditorato;
area grandi emergenze internazionali – con funzioni specifiche dedicate all’analisi dei protocolli internazionali per la gestione degli eventi catastrofici;
  1. di prevedere altresì una fase di transizione, necessaria per la completa assunzione delle funzioni previste al punto 7, in attesa di rendere operativa la sede definitiva, durante la quale l’A.R.E.U. potrà avvalersi di strutture, funzioni logistiche e supporto da parte di strutture sanitarie con disponibilità di locali funzionalmente attigui alla sede di Centrale Operativa;
  2. di indicare quali compiti dell’A.R.E.U.:
  3. a) definizione – per la stipula di contratti, accordi e capitolati – dei requisiti tecnici, organizzativi e professionali per i soggetti erogatori di prestazioni in ambito urgenza emergenza extraospedaliera, nonché delle modalità di controllo del mantenimento dei requisiti e delle prestazioni erogate;
  4. b) definizione dei percorsi organizzativi di interfaccia con le strutture sanitarie sede di centrale operativa e/o mezzi di soccorso di base o avanzato;
  5. c) definizione e controllo delle modalità di acquisizione da Enti, Associazioni di volontariato o loro Organismi Rappresentativi, Organizzazioni e Cooperative Sociali, di personale e servizi per lo svolgimento delle attività con i mezzi di soccorso di base e avanzato, considerando, ove previsto, i principi di sussidiarietà;
  6. d) definizione della modalità di gestione di acquisizioni di beni e servizi, in dettaglio:
  7. Definizione degli standard e delle modalità di acquisizione delle apparecchiature sanitarie, dei presidi e dei relativi servizi in uso al S.S.U. Em. Regionale;
  8. Definizione degli standard e delle modalità di acquisizione delle componenti tecnologiche e dei relativi servizi per il Sistema informatico gestionale, sistema telefonico, sistema di registrazione, sistema radio, sistema di videosorveglianza, in uso al S.S.U. Em. Regionale;
III. Definizione delle modalità di acquisizione dei servizi relativi alle reti radiotelefoniche ed informatiche dedicate all’emergenza ed in uso al S.S.U. Em. Regionale;
  1. Definizione delle modalità di acquisizione dei servizi per l’attività di Elisoccorso;
  2. Definizione delle modalità di acquisizione dei mezzi soccorso su ruota di proprietà del S.S.U. Em. Regionale;
  3. e) definizione delle categorie di beni e servizi che possono essere oggetto di acquisizione centralizzata. Promozione, incentivazione e definizione delle modalità di acquisizione centralizzata di dette categorie di beni e servizi;
  4. f) valutazione dell’evoluzione delle tecnologie di supporto e necessarie per il funzionamento delle centrali operative del S.S.U. Em. Regionale;
  5. g) definizione dei percorsi organizzativi interni, delle procedure e dei protocolli dei S.S.U. Em. Regionali;
  6. h) definizione dei criteri di ottimizzazione per l’impiego delle risorse umane e materiali, nell’ambito delle attività dell’area emergenza urgenza inter ed intraprovinciale;
  7. i) rendicontazione delle attività per la remunerazione delle funzioni svolte in materia di emergenza urgenza extraospedaliera;
  8. j) organizzazione e gestione del coordinamento intraregionale e interregionale delle attività trasfusionali e dei flussi di scambio e compensazione di sangue ed emocomponenti attraverso il progressivo trasferimento delle funzioni del C.R.C.C.;
  9. k) progressiva implementazione del coordinamento della funzione di trasporto organi e tessuti;
  10. l) elaborazione ed applicazione di protocolli di intervento e di accesso al sistema ospedaliero, in particolare per le emergenze ed urgenze cardio-cerebrovascolari, traumatologiche e pediatriche;
  11. m) programmazione ed erogazione della formazione e dell’aggiornamento al personale dipendente o convenzionato con il S.S.R. ed agli operatori, professionisti e volontari, appartenenti ad Enti, Associazioni di volontariato, Organizzazioni e Cooperative Sociali, questi ultimi attraverso i centri di formazione degli organismi associativi già riconosciuti come risorsa formativa regionale o accreditati, in applicazione dei programmi definiti in sede di programmazione regionale;
  12. n) elaborazione ed applicazione dei piani e programmi sperimentali e di simulazione di eventi e situazioni dell’emergenza-urgenza;
  13. o) integrazione della risposta locale alla maxiemergenza, secondo protocolli definiti e attuazione di piani regionali per emergenze di massa, interventi di soccorso internazionale, rischi di particolare rilevanza. Interazione, per quanto di competenza, con i soggetti istituzionali deputati alla gestione delle maxiemergenze;
  14. p) analisi dei volumi di attività e della qualità delle prestazioni erogate dal S.S.U. Em. regionale, applicazione delle procedure per raggiungere gli standard fissati dagli indicatori di qualità e prestazione del sistema. In previsione dell’accreditamento delle attività di emergenza-urgenza, l’A.R.E.U. è tenuta ad avviare il progetto di valutazione secondo il modello Joint Commission International-Regione Lombardia;
  15. q) valutazione analitica dell’impiego dei mezzi di trasporto e soccorso e dell’applicazione dei protocolli convenzionali con i soggetti autorizzati, compreso il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (C.N.S.A.S.), per l’attività di soccorso primario e secondario;
  16. r) progressiva estensione delle attività di coordinamento del servizio/gestione del contatto telefonico per i trasporti interospedalieri, delle attività di integrazione con la continuità assistenziale, in accordo con le determinazioni della Direzione Generale Sanità;
  17. s) integrazione con le attività dei M.M.G. e P.L.S., erogatori di cure domiciliari;
  18. t) collaborazione nella risposta alle emergenze di tipo socio-assistenziale (Anziani, Disabili, Assistiti a domicilio, ecc.);
  19. u) promozione di un’attività di comunicazione sui temi dell’Emergenza Urgenza indirizzata ad operatori/utenti/media e collaborazione con gli Uffici scolastici provinciali per attività di formazione/divulgazione sui temi dell’emergenza urgenza, in accordo con le indicazioni della Direzione Generale Sanità;
  20. v) acquisizione dalle strutture sanitarie sede di centrale operativa e/o mezzi di soccorso di base o avanzato dei contratti e delle convenzioni, in essere alla data del presente provvedimento, e verifica della loro conformità agli indirizzi dettati dalla Regione;
  21. w) definizione delle migliori sinergie funzionali atte a garantire la disponibilità, da parte delle strutture sanitarie sede di centrale operativa, di personale e servizi per le centrali operative, lasciando immutato l’originario rapporto di dipendenza del personale stesso;
  22. x) definizione delle migliori sinergie funzionali atte a garantire la disponibilità, da parte delle strutture sanitarie sede di Centrale Operativa e/o mezzi di soccorso avanzato, di personale e servizi per i mezzi di soccorso avanzato (compresi i mezzi infermieristici) ed elisoccorso, lasciando immutato l’originario rapporto di dipendenza del personale stesso;
  23. di stabilire che il personale appartenente alle strutture sanitarie sede di centrale operativa e/o mezzi di soccorso di base o avanzato e il personale sanitario convenzionato con la ASL, ai sensi dell’art. 91 dell’Accordo per la medicina generale sottoscritto in data 23 marzo 2005, impegnati nello svolgimento dei compiti relativi all’emergenza-urgenza territoriale, sono coordinati e diretti, limitatamente allo svolgimento di detti compiti, dall’A.R.E.U. con le sue articolazioni territoriali;
  24. di demandare al direttore generale dell’A.R.E.U. il compito di valutare le specificità di ciascun ambito territoriale regionale, al fine di predisporre o adeguare i programmi di intervento in ragione dei concreti bisogni delle realtà locali, nonché di acquisire riscontri sull’efficienza raggiunta dal sistema urgenza-emergenza. All’uopo, il direttore generale, con cadenza almeno annuale, è tenuto ad indire incontri con le ASL di riferimento;
  25. di trasmettere alla Commissione Consiliare competente il Piano di Organizzazione Aziendale (POA), definito dalla Direzione dell’A.R.E.U., previo confronto con le Organizzazioni Sindacali sulle tematiche del personale;
  26. di dare mandato alla Direzione dell’A.R.E.U. di analizzare i fabbisogni territoriali in una logica di continuità assistenziale e di prevedere un organo consultivo della Direzione dell’A.R.E.U. in cui siano rappresentate le Organizzazioni di volontariato regionali più rappresentative del settore dell’emergenza-urgenza;
  27. di assumere, con successivi atti, appositi provvedimenti per uniformare ed integrare il sistema di emergenza urgenza territoriale secondo le linee programmatiche tracciate in premessa;
  28. di attribuire alla costituenda A.R.E.U l’iniziale finanziamento annuo, individuato nelle funzioni specifiche non coperte da tariffe predefinite relative all’emergenza urgenza, incrementato della quota necessaria per l’implementazione e sviluppo della stessa e del sistema sanitario di urgenza-emergenza territoriale, pari a 155 milioni di euro;
  29. di individuare il fabbisogno di personale dell’A.R.E.U. in base al modello organizzativo indicato ai precedenti punti 4 e 5;
  30. di stabilire che le risorse rese disponibili dalla Regione Lombardia rientrano nelle disponibilità complessive del Fondo Sanitario Regionale per l’esercizio 2008, precisando altresì che la spesa autorizzata è compatibile con le regole di gestione del sistema sanitario definite ex Delib.G.R. 31 ottobre 2007, n. 8/5743;
  31. di pubblicare il presente provvedimento sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia sul sito web della Direzione Generale Sanità, ai fini della diffusione dell’atto.

La dettagliata delibera della giunta regionale e la norma di legge regionale cui quest’ultima era agganciata, con il cospicuo budget di risorse che venivano allocate alla neocostituita agenzia, furono però improvvisamente abrogate dall’art. 133, comma 1, lettera nn), della l.r. Lombardia 30 dicembre 2009, n. 33, recante «Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità», fra le cui previsioni l’AREU non ha però mancato di essere riproposta all’art. 16, con un deciso ridimensionamento dei compiti assegnati a questa agenzia regionale nella gestione delle maxi emergenze. Tale norma così recita nel suo testo vigente.

Art. 16
Agenzia regionale dell’emergenza urgenza
È istituita l’Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU), dotata di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica. L’AREU, sulla base degli indirizzi regionali, attua la programmazione e il controllo, assicurando i LEA in materia di emergenza urgenza extraospedaliera, di attività trasfusionali, di trasporti sanitari e sanitari semplici inclusi gli organi e i tessuti destinati ai trapianti. All’AREU sono assegnati la programmazione e il controllo del Servizio NUE 112. L’AREU garantisce il coordinamento intraregionale e interregionale, l’indirizzo, la gestione, lo svolgimento, il monitoraggio della rete dell’emergenza urgenza extra ospedaliera e del Servizio NUE 112. Assicura inoltre il coordinamento delle attività trasfusionali dei flussi di scambio e compensazione di sangue, emocomponenti ed emoderivati, il coordinamento logistico delle attività di prelievo e di trapianto di organi e tessuti, il coordinamento dei trasporti sanitari e sanitari semplici disciplinati dalla Regione, il coordinamento delle centrali operative integrate per la continuità assistenziale. L’AREU opera inoltre in raccordo con il sistema di protezione civile per far fronte alle grandi emergenze, promuove attività scientifiche e di ricerca in collaborazione con altre strutture sanitarie ed esercita ulteriori funzioni assegnate dalla Giunta regionale.
(omissis)

Mentre l’AREU istituita nel 2007 era prefigurata come una «struttura di coordinamento e di gestione delle funzioni agile ed essenziale, dedicata agli aspetti organizzativi amministrativi e tecnici, alla verifica ed al mantenimento dei processi volti al miglioramento della qualità, connessi alle attività relative alle maxiemergenze», dotata di una articolazione interna definita «area grandi emergenze internazionali», ed espressamente incaricata dal legislatore regionale di svolgere «funzioni specifiche dedicate all’analisi dei protocolli internazionali per la gestione degli eventi catastrofici», che fra i propri compiti istituzionali aveva quello di attuare la «integrazione della risposta locale alla maxiemergenza, secondo protocolli definiti e attuazione di piani regionali per emergenze di massa, interventi di soccorso internazionale, rischi di particolare rilevanza, interazione, per quanto di competenza, con i soggetti istituzionali deputati alla gestione delle maxiemergenze», nella riforma del 2009 ci si limitava a statuire che «l’AREU opera inoltre in raccordo con il sistema di protezione civile per far fronte alle grandi emergenze».

6. LA RESPONSABILITÀ CIVILE DELLO STATO E DELLE REGIONI PER LA GESTIONE SANITARIA DELL’EMERGENZA COVID: COME E PERCHÉ SCONGIURARE L’AVVIO DI UNA NUOVA INDESIDERABILE SAGA GIUDIZIARIA SUL CALCO DELLA VICENDA «DEL SANGUE INFETTO»

Muniti delle insospettabili consapevolezze scovate fra le pieghe della legislazione statale e di quelle della legislazione della regione che più di tutte esibisce numeri che mostrano la gravità dell’impatto avuto dal COVID sulla salute collettiva e individuale della popolazione nei mesi durante i quali il nostro Paese ha sperimentato il lockdown, è possibile riaccostarsi al punto di partenza di questa riflessione.

Appare interessante e forse utile istituire un confronto, che a questo punto ci si auspica non sembri più velleitario proporre.

Fra quanto – lo si è visto nel par. 2 – è bastato alle nostre S.U. per dichiarare la responsabilità dello Stato emovigilante rispetto al prodursi di eventi dannosi realizzazione di rischi certamente compresi e ricadenti nella sfera delle competenze e degli obblighi programmatici del Ministero della Sanità rispetto alla sicurezza della provvista di sangue ed emoderivati, senza però che le S.U. avvertissero il bisogno di associare l’imputazione della responsabilità omissiva dello Stato emovigilante a un preciso corso di specifiche azioni che, se adottato, avrebbe evitato o sensibilmente ridotto, sulla base di una valutazione di taglio tecnico-scientifico, il prodursi dei danni reclamati da migliaia di vittime di contagi occorsi per via ematica.

E quanto emerge dall’analisi legislativa di contesto svolta nel precedenti paragrafi, con riferimento al darsi dell’obbligo di adottare misure a carattere amministrativo e gestionale che avrebbero dovuto essere implementate per fronteggiare uno scenario previsionale, oggetto di puntuale e certosina descrizione normativa ed amministrativa nella legislazione statale come nella legislazione della regione Lombardia, nel quale il rischio legato al deflagrare di una pandemia influenzale non solo si dava per conosciuto, ma era prefigurato e atteso con una certezza incapace di esprimersi solo sul quando tale scenario di rischio si sarebbe inverato e con l’individuazione delle azioni concrete che avrebbero dovuto essere attuate per contrastarlo nel migliore dei modi.

Possano residuare pochi dubbi che l’azione delle moltitudini di soggetti danneggiati dal COVID sia suscettibile di essere efficacemente spiegata nei confronti dello Stato e, nel caso lombardo, della Regione Lombardia, con la possibilità di identificare negli atti regolativi di dettaglio che sono stati ripercorsi (al netto di eventuali altri provvedimenti che possano essere individuati), non già l’astratta e di per sé causalmente anodina formulazione di un generale dovere di intervento e sorveglianza per contrastare il rischio di una pandemia influenzale, ma una gamma dettagliatissima di azioni precauzionali (declinanti in modo assai concreto il senso dell’agire in tempo utile, per essere pronti a gestire al meglio uno scenario di rischio atteso, incerto solo quanto all’identificazione del momento della sua verificazione), attività che, ove fossero state effettivamente poste in essere al momento in cui la pandemia del 2020 è deflagrata in Italia, esibiscono ragionevoli motivi per essere ritenute suscettibili, alla luce del prisma del «più probabile che non», di evitare o di ridurre in modo significativo i danni occorsi alle moltitudini di danneggiati dal COVID.

Quegli atti e quelle specifiche previsioni si stagliano anche sul piano giuridico come un punto di domanda al quale qualcuno dovrà incaricarsi di dare risposte che non si affettino ad invocare il caso fortuito o l’imprevedibile (nel lessico della responsabilità civile aquiliana) ovvero la causa non imputabile (nel gergo della responsabilità civile contrattuale). Non è affatto agevole stabilire oggi in che modo la voluta (il penalista sarebbe tentato di chiarire se con i toni della «colpa cosciente» o con quelli del «dolo eventuale») sottovalutazione sistemica di un rischio noto da parte delle istituzioni cui è affidata la tutela della salute dei cittadini, e la circostanza che la scelta di azzerare l’operatività sia del piano anti pandemia che delle istituzioni preposte a renderlo operativo (piano e istituzioni di cui pure la regione Lombardia si era previdentemente dotata nel 2007) sia stata una scelta rivendicata con evidenza normativa da parte del legislatore regionale, potranno influire sul modo in cui l’interrogativo evocato è avviato a trovare risposte.

Qui può solo essere ricordato che anche al principio degli anni Novanta si nutriva un deciso scetticismo per la suggestione che lo Stato potesse essere chiamato a rispondere civilmente per il modo in cui, nell’esercizio della sua attività amministrativa volta ad esercitare l’emovigilanza, erano state compiute nel corso di almeno quattro lustri delicate valutazioni tecniche in ordine alle scelte destinate a garantire l’approvvigionamento della provvista di sangue in Italia, in tempi nei quali le autorità preposte erano chiamate a compiere vere e proprie «scelte tragiche»: adottare determinate scelte precauzionali, implicanti la necessità di scartare grandi quantità di donazioni per la scarsa specificità dei metodi di rilevazione del rischio virale del liquido ematico che in quei frangenti erano disponibili, avrebbe, infatti, messo a repentaglio la disponibilità di una sostanza terapeutica che pure – nell’immediato – aveva la caratteristica di salvare la vita a quanti si trovavano nella necessità di assumerla[47].

Così come può essere ricordato che, per la stessa ragione, le associazioni delle vittime del sangue infetto a cavallo del 1990 si erano rese promotrici di iniziative legislative volte ad ottenere che, di fronte alle insormontabili difficoltà che all’epoca sembravano frapporsi all’obiettivo di ottenere un risarcimento del danno dai responsabili dell’accaduto, lo Stato – quantomeno – riconoscesse alle vittime un indennizzo, prevedendo in via legislativa una procedura amministrativa volta a stabilire le condizioni per la corresponsione di una somma una tantum o erogata periodicamente destinata a ristorare le persone che avevano contratto il virus attraverso il consumo di sangue e farmaci emoderivati e i loro familiari[48].

Il 28 aprile 2020 a Bergamo si è costituito il comitato «Noi denunceremo», con la finalità di promuovere iniziative giudiziarie «in ambito civile e/o penale (…) tese alla ricerca della verità giudiziaria e alla ricerca della sussistenza di responsabilità, di qualsiasi natura, genere e titolo, a carico di persone, enti e istituzioni, pubbliche e/o private e/o governative, che abbiano avuto potere e/o responsabilità nella gestione della c.d. “emergenza Covid-19” e che abbiano inequivocabilmente cagionato conseguenze gravi, gravissime e meno gravi, di qualsiasi natura e/o titolo, nella vita privata e/o pubblica di qualsiasi cittadino residente /o soggiornante nel territorio della Repubblica italiana»[49]. Nel mese di giugno sono state depositate le prime denunce penali presso la procura di Bergamo, che ha aperto un procedimento contro ignoti, per fare chiarezza sulla possibile connessione fra i decessi determinati dal COVID al centro delle denunce e le modalità con le quali le istituzioni preposte ad assicurare la tutela della salute dei cittadini hanno assolto il loro compito al deflagrare della pandemia[50].

Ancora una volta, la storia del sangue infetto ammonisce che imboccare la strada della giustizia penale identifica un primo passo inevitabile, essendo i poteri di indagine associati alla funzione requirente la necessaria cassetta di primo intervento per cominciare a scrutinare sul piano giudiziario, con i pregnanti poteri che le procure esercitano sul piano dell’acquisizione di prove, il verificarsi di fatti complessi, sospettati di aver determinato nel loro concatenarsi nocumento a platee molto allargate di soggetti. Almeno per come oggi ci è dato conoscere un epilogo giudiziario compiutosi a distanza di decenni dagli accadimenti dai quali presero avvio le indagini penali (lo si è ricordato a suo tempo, in queste pagine), la storia del sangue infetto dimostra, tuttavia, che in casi siffatti la giustizia penale, per una gamma di considerazioni troppo note per essere qui richiamate[51], non prospetta alle vittime strade suscettibili di offrire risposte convincenti, e meno che mai se la loro domanda di giustizia è volta a reintegrare con un equivalente monetario i diritti che si assumono lesi.

Sul piano della tutela civile è noto che la l. n. 31 del 12 aprile 2019 di riforma dell’azione di classe ha allargato il campo di applicazione di questo istituto inizialmente inserito nel codice del consumo dalla l. 244/2007, riconducendone la disciplina al codice di rito nel quale trova oggi spazio il nuovo Titolo VIII-bis, relativo ai procedimenti collettivi (azione di classe e azione inibitoria collettiva) composto dai 15 nuovi articoli correnti fra l’art. 840-bis e l’art. 840-sexiesdecies c.p.c.[52]. Avendo a mente che il secondo comma dell’art. 7 della l. 31/2019 dispone che le nuove disposizioni si applichino alle «condotte illecite poste in essere successivamente» alla data di entrata in vigore della legge, con la precisazione che «alle condotte illecite poste in essere precedentemente continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti prima della medesima data di entrata in vigore», la circostanza che, poco prima dell’insorgere dell’emergenza COVID la data di entrata in vigore della riforma, inizialmente prevista il 19 aprile 2020, sia stata rimandata al 19 novembre 2020[53], sembra togliere definitivamente dal giro ogni velleità di avvalersi della nuova normativa in un futuro contenzioso collettivo promuovibile contro lo Stato o le Regioni dalle moltitudini di danneggiati in esito alla pandemia.

Una coincidenza che sembrerebbe non giocare a favore delle potenziali vittime, si dirà. Ma, ancora una volta, la vicenda del sangue infetto testimonia come l’indisponibilità di strumenti procedurali deputati a coagulare pretese risarcitorie individuali in un unico procedimento, razionalizzandone la trattazione, non abbia impedito di imbastire con clamoroso successo delle vere e proprie «class action all’italiana», miranti ad ottenere la condanna del Ministero della sanità che in quel caso fu convenuto solo sull’an della responsabilità, per poi lasciare che il quantum potesse essere oggetto di accertamento in separati giudizi individuali promossi da ciascun attore vittorioso[54].

Avvicinandosi alle conclusioni. Per quanto scrutinato in queste pagine pare verosimile ipotizzare che il contenzioso post COVID possa collocarsi a un livello più alto di quello con cui faremmo i conti interrogandoci sul modo in cui la legge Gelli-Bianco può rendersi interprete delle potenziali pretese risarcitorie rivolte da migliaia di danneggiati nei confronti di operatori e strutture sanitarie. Per mettere il dito direttamente sulla piaga, evitando inutili perdite di tempo e di energie processuali:

da cosa dipende, in ultima analisi, il difetto di organizzazione e gestione della struttura sanitaria quando la struttura sanitaria, e con essa gli operatori sanitari che in ogni struttura prestano servizio, non si è vista allocare le risorse e predisporre direttive organizzative necessarie a fare in modo che la struttura fosse pronta – sapesse nei dettagli cosa fare e come farlo – a fronteggiare una improvvisa insorgenza pandemica?

Come reagire efficacemente se – a monte della routine di un sistema sanitario avente base regionale che quotidianamente è alle prese con l’imperativo di dare effettività alla declamazione che «la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività» – non si è prefigurato un sistema congegnato per affrontare l’insorgenza di un rischio catastrofico atteso, di cui poteva dirsi ignoto solo il momento di verificazione?

Rispondere a questi interrogativi, se la tutela del diritto alla salute violato induce a discutere di risarcimenti conseguenti a responsabilità civile, significa spingersi da subito a verificare un addebito di colpa omissiva nei confronti dello Stato e delle regioni che condividono la competenza legislativa sulla tutela della salute, scrutinandone a tutto tondo le scelte operate in passato, per verificare l’eventuale ruolo causale che queste scelte hanno esercitato nel vulnerare i diritti inviolabili degli assistiti del SSN in esito all’irrompere della pandemia.

Di fronte a queste consapevolezze legioni di avvocati, idealmente le stesse che nell’arco di più di un quarto di secolo hanno accompagnato le vittime del sangue infetto sulla interminabile strada della realizzazione delle proprie pretese risarcitorie, potrebbero affrettarsi ad intercettare, specie in alcune zone della penisola impattate in modo soverchiante dagli effetti della pandemia, la sete di giustizia che – lo si è visto – ha già cominciato a manifestarsi, specie in alcune aree del paese.

Lo studioso di responsabilità civile, invece, viene attanagliato da un senso di vertigine, un vero e proprio horror vacui, verosimilmente perché vede ancora una volta stagliarsi davanti a sé i limiti della responsabilità civile, le colonne d’Ercole del mondo nel quale ci si disputa gli sconfinamenti nelle sfere giuridiche prodotti dalle attività umane e li si regola attribuendo somme di denaro a chi li ha subiti o lasciando vivere lo sconfinamento lì dove è accaduto[55].

Un luogo immaginario oltre il quale si apre l’orizzonte della socializzazione della perdita individuale attuata attingendo alle stesse risorse collettive che – in un caso come quello di cui stiamo discutendo – rischia di rivelarsi la fonte di soddisfazione finale delle iniziative risarcitorie delle vittime.

Questa vertigine dovrebbe indurre a riflettere – e da subito – sull’opportunità di rassegnarsi a lasciare che il post COVID si avvii a replicare una penosa dinamica giudiziaria destinata a seguire il percorso lentamente compiutosi dopo la vicenda del sangue infetto.

Gli ideali cui riferire questa riflessione sono principalmente due, e li si evidenzia lasciando che la personale propensione dell’interprete per uno dei due argomenti scelga quale dei due privilegiare. Nella consapevolezza che essi non si escludono, ma si cumulano fra loro.

Il primo fa riferimento all’ideale della solidarietà, così insistentemente evocato ad ogni livello del discorso pubblico e privato nei terribili giorni nei quali la comunità degli italiani sperimentava un sentimento di paura che nessun accadimento degli anni trascorsi dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale (e quindi dai giorni che hanno preceduto e ispirato la redazione della Carta fondamentale della nostra Repubblica) ha saputo suscitare così capillarmente fra la popolazione italiana[56].

Predisporsi a socializzare l’inveramento di un rischio di proporzioni catastrofiche, da cui tutti sono stati toccati a livello emotivo, e che ha finito per attuarsi in danno concreto colpendo un numero non piccolo (e tuttavia limitato e numericamente circoscrivibile) di membri della comunità nazionale è in effetti una strada che potrebbe avvalersi di una ampia gamma di riferimenti costituzionali, in un percorso di taglio fatalmente politico, che, confrontandosi con il prevedibile contro-argomento della finitezza delle risorse disponibili al bilancio dello Stato, potrebbe provare a dribblarlo, riflettendo sul fatto che il sistema dei conti pubblici dello Stato italiano, ormai da troppo tempo avviato su una china scivolosa che non ha mai smesso di far lievitare le proporzioni del debito pubblico, affida oggi le sue flebili e incerte prospettive di ravvedimento operoso a un atto (il c.d. «recovery fund», messo a punto dall’Unione europea a fine luglio per rilanciare le economie dei 27 Paesi membri travolte dalla crisi del Covid-19), che, per come è stato attuato, potrà anche essere tacciato da alcuni di non essere espressione di reale solidarietà (a dispetto del fatto che l’art. 2, comma 3, del Trattato di Lisbona sancisce che l’Unione «promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri»), ma che, se l’Italia fosse stata colpita dalla pandemia avendo scelto di stare fuori dal consorzio europeo (come altri paesi membri hanno ritenuto di fare) semplicemente non avrebbe avuto occasione di darsi, con l’effetto di azzerare anche quelle flebili e incerte prospettive cui poc’anzi s’è alluso.

Il secondo argomento ha che fare con l’efficienza. E sarebbe abbracciato dal giurista calabresianamente sensibile al problema dei costi secondari degli incidenti, consapevole che la responsabilità civile asseverata in giudizio produce costi transattivi assai cospicui ogni volta che movimenta risorse fra patrimoni per riparare gli sconfinamenti di cui s’è detto, costi per sostenere i quali in modo socialmente ottimale ci si deve trovare, come normalmente ci si trova nella quotidianità della responsabilità civile, al cospetto di situazioni nelle quali l’accertamento analitico dei fatti (che in sede contenziosa sono costosamente sviscerati attraverso un processo) produce informazioni che pro futuro assumono una utilità dissuasiva, affinché la prossima volta convenga fare meglio quello che si è fatto male in passato. In che misura tale condizione di realizzi quando ad essere minacciato di soddisfare una sentenza di condanna risarcitoria sia un patrimonio che è anche la cassa comune dei contribuenti italiani (non solo è lecito, ma) è doveroso chiederselo.

L’argomento dell’efficienza, nel caso qui in esame, potrebbe condurre a sposare la volontà di mettere a fuoco sul piano tecnico e politico un astratto scenario risarcitorio, anticipando la consistenza del quale lo Stato e le regioni, nella qualità di possibili convenuti in questo contenzioso di massa, avrebbero modo di riflettere sulla prospettiva della possibile soccombenza suscettibile di interessarli, per calcolare ex ante le proporzioni del rischio legale da fronteggiare e così divisare l’entità delle risorse astrattamente necessarie a garantire il soddisfacimento delle pretese attoree, per poi impostare sul piano tecnico i parametri necessari ad alimentare un fondo deputato a estinguere in via transattiva, sulla base di criteri astratti, ma predeterminati in via legislativa, le pretese dei soggetti che dimostrino di possedere i requisiti cui tali parametri siano stati agganciati.

Come si sarà intuito, per prendere le misure e gestire in modo socialmente desiderabile lo scenario che in questo studio si è solo cominciato a tratteggiare, non ci si propone affatto di ripetere gli errori del passato, che fatalmente sarebbero pronti a replicarsi perorando ancora una volta interventi legislativi rivestiti di una solidarietà sociale solo apparente, come quello che nel caso del sangue infetto fu approvato con scarsa meditazione da legislatori inquieti, che agivano negli ultimi giorni del sistema politico oggi rievocato alludendo alla c.d. prima Repubblica, quando le risorse collettive potevano ancora essere spensieratamente ipotecate a detrimento delle generazioni future[57].

L’infausto e legisticamente sciatto modello della l. 210/92 costituisce il paradigma di una strada da non seguire. Fra i molti inconvenienti prodotti – l’allargamento progressivo della platea di beneficiati e del quantum indennitario, stabilito con una serie di pronunce dalla Corte costituzionale; la cattiva gestione delle procedure amministrative predisposte per vedere riconosciuto l’indennizzo; l’incapienza finanziaria e i conseguenti ritardi nell’erogazione concreta delle somme (anche dovuta all’aumento di spesa determinato dal progressivo allargamento della platea dei beneficiari appena ricordato) – quella legge ha richiesto lustri solo per allestire una mal congegnata soluzione interpretativa atta a giustificare la conclusione che i benefici attribuiti agli aventi diritto da quel dispositivo normativo non potessero essere cumulati col risarcimento del danno posto a carico dello Stato in esito ai giudizi diffusamente evocati in queste pagine[58].

Il modello normativo cui si guarda non è, quindi, quello dello legge 210/92, ma è inedito: una legge statale volta ad attribuire alle vittime dell’emergenza sanitaria determinata dal COVID un beneficio avente esplicita natura risarcitoria, che contempli fra le varie condizioni in essa legislativamente divisate per qualificare i legittimati a ricevere tale beneficio, la rinuncia degli aventi diritto ad intraprendere o a mantenere azioni risarcitorie nei confronti degli enti erogatori e/o delle strutture che facciano parte del sistema sanitario nazionale, lasciando impregiudicata per i destinatari di tale normativa la facoltà di optare per la via giudiziaria o accettare la proposta transattiva fatta dal Fondo. Proposta che la legge, oltre a quantificare in modo congruo, ma condizionato dalla consapevolezza di rappresentare una erogazione a carattere molto anticipato rispetto a quella attesa in esito a un giudizio civile vittorioso, potrebbe giungere a giustificare richiamando anche il valore della solidarietà costituzionale.

Del resto, senza alcuna meditazione in ordine alla necessità di fissare legislativamente a quali condizioni l’intervento avrebbe dovuto essere subordinato, al fine di garantire il rispetto dell’art. 3 Cost. nel modo in cui le sue scarne previsioni sarebbero state applicate, una legge dello Stato – emanata sotto silenzio mentre la saga giudiziaria del sangue infetto era in pieno svolgimento e stava ancora attendendo i primi responsi della corte di legittimità – ha già avuto modo di autorizzare la spesa necessaria per consentire all’avvocatura dello Stato di chiudere in via transattiva le azioni risarcitorie promosse nei confronti del Ministero della Sanità che al momento dell’entrata in vigore della legge risultavano pendenti[59].

Nessuno si nasconde che le obiezioni e i problemi da superare per concretizzare i molti dettagli necessari a rendere operativa questa proposta sarebbero numerosi[60]. E che questi dettagli andrebbero studiati con grande attenzione. Ma sarebbero ostacoli con cui varrebbe la pena confrontarsi da subito[61], analizzando partitamente tali problemi e lavorando a un articolato legislativo che sia in grado di superarli.

Per non rassegnarsi all’inazione, nell’attesa che prenda fatalmente corpo una pandemia giudiziaria sul calco di quella prodottasi in esito al caso del sangue infetto, per gestire la quale è fin troppo agevole prevedere che non si dovrebbe attendere il vaccino che stiamo tutti aspettando, ma – verosimilmente – una pronuncia delle sezioni unite della Cassazione.

Che qualcuno avrebbe in sorte di commentare nel decennio che seguirà quello che abbiamo appena visto cominciare in modo così Infausto (sì, con la I maiuscola).

[1] Il presente contributo è destinato al volume curato da C. Cicero, I rapporti giuridici al tempo del Covid-19, in corso di pubblicazione (ottobre 2020) nella Collana del Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Cagliari.

[2] Vividamente G. Ponzanelli, La responsabilità civile al tempo del Covid-19, in Danno e resp., 2020, pp. 425 ss., spec. p. 426 «l’evento è stato di una violenza inaudita, tanto che dovrà ancora essere completato un censimento completo di tutte le conseguenze dannose». Eloquente già nel titolo A. Bianchi, Flagelli, in Danno e resp., 2020, pp. 341 ss.

[3] M. Gabanelli, Epidemia di Stato, in Il Corriere della Sera Io donna, 3 novembre 2007, in rete: http://www.agenziafarmaco.gov.it/aifaminesi/200711/file_20071105_88902681.pdf.

[4] Gli esiti di quel progetto di ricerca sono stati raccolti in E. A. Feldman, R. Bayer (eds), Blood Feuds: Aids, Blood, and the Politics of Medical Disaster, Oxford – New York, Oxford University Press, 1999.

[5] Quel lavoro esitò in U. Izzo, Blood, Bureaucracy and Law: The HIV-Tainted Blood Contamination in Italy, in Feldman, Bayer, Blood Feuds, cit., pp. 215-250; una versione più ampia di quel saggio è stata in seguito pubblicata in open access in U. Izzo, Responding to the HIV-tainted Blood Contamination in Italy (paper presented during the seminar held at Castello di Santa Maria della Novella – Firenze, July 18-20 1996), Trento, Università degli Studi di Trento, 2007, pp. 1-56, in rete: http://eprints.biblio.unitn.it/archive/00001270/.

[6] CEDU, 8 febbraio 1996, Commiss. europea diritti dell’uomo c. Gov. Danimarca, in Danno e resp., 1999, p. 190, con nota di U. Izzo, La «posta in gioco» e la ragionevole durata del processo nelle azioni promosse per il risarcimento del danno da contagio da HIV.

[7] Trib. Roma 28 novembre 1998, in Foro it., 1999, I, p. 313, su cui U. Izzo, La responsabilità dello stato per il contagio da Hiv ed epatite di emofilici e politrasfusi: i limiti della responsabilità civile, in Danno e resp., 1999, p. 214.

[8] Si tratta della «cinquina» composta da Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, nn. 577, 578, 581, 582 e 583, tutte in Foro it., 2008, I, p. 451, con nota di richiami di A. Palmieri, su cui i commenti di R. Simone, Equivoci della causalità adeguata e contaminazione dei modelli di spiegazione causale, in Danno e resp., 2008, p. 1011; C. Romeo, Nesso di causalità e descrizione dell’evento nella responsabilità per trasfusione di sangue infetto, in La responsabilità civile, 2008, p. 983; S. Oliari, «Debito di sangue»: danno da emotrasfusione e prescrizione, in Danno e resp., 2008, p. 667.

[9] Un estemporaneo esercizio di ricerca empirica del tutto indicativo per la sua incompletezza (visto che la banca dati interrogata censisce solo parzialmente le pronunce delle corti di merito nazionali e lo fa da un torno di anni che non copre esaustivamente il periodo 1998-2020) restituisce 1122 sentenze di merito che mostrano di contenere nel testo il sintagma «sangue infetto», utilizzando la banca dati delle Corti di merito della Wolters Kluwer.

[10] Solo in sede penale la vicenda del sangue infetto ha dato luogo a un interminabile giudizio penale promosso nei confronti dei manager che all’epoca dei fatti operavano per il gruppo Marcucci (cui apparteneva, fra le altre, l’azienda Sclavo che gestiva l’importazione di emoderivati negli anni 80 in Italia) e di Duilio Poggiolini, potente direttore generale del Ministero della Sanità, noto alle cronache per fatti acclarati durante Tangentopoli, oltre che dello stesso Guelfo Marcucci, scomparso nelle more del lunghissimo giudizio. Avviato dalla procura di Trento nel 1995, traferito per competenza a Napoli nel 2006, il procedimento penale è approdato – nell’impossibilità di accertare in base ai rigorosi dettami penali la causalità fra le condotte degli imputati e gli episodi di contagio che avevano determinato decessi e lesioni personali gravissime fra le migliaia di parti civili, oltre a integrare in astratto il reato di epidemia dolosa – a una sentenza penale assolutoria con la formula dell’insussistenza del fatto, Trib. Napoli, 25 marzo 2019, rimasta inspiegabilmente inedita, su cui è disponibile la registrazione audio di alcune delle udienze che hanno portato la Corte a pronunciarsi in http://www.radioradicale.it/scheda/568948/processo-a-duilio-poggiolini e sintetiche notizie in https://www.personaedanno.it/articolo/emoderivati-infetti-tribunale-di-napoli-sezione-penale-25-marzo-2019-la-verita-sulla-in-giustizia.

[11] Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581, cit.

[12] Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581, cit.

[13] Su cui, volendo, U. Izzo, Danno lungolatente alla persona e decorrenza della prescrizione nell’azione risarcitoria: ruolo dell’informazione ed oneri probatori, in U. Izzo (a cura di), Dialoghi sul danno alla persona, Trento, 2006, p. 256 ss.

[14] Da un lancio di cronaca di un organo d’informazione locale si apprende l’avvenuta condanna nel 2020 del Ministero della Sanità a risarcire circa 1,3 milioni di euro agli eredi di una donna che aveva già ricevuto un assegno una tantum previsto dalla legge 210/1992, pari a circa 77.500 euro. La donna aveva contratto l’epatite C, il cui virus poté essere identificato dalla scienza solo nel 1988, in occasione di una trasfusione ricevuta nel 1974. Lo si legge in rete: https://www.ilfaroonline.it/2020/01/16/latina-70enne-muore-a-causa-di-sangue-infetto-dopo-46-anni-risarciti-gli-eredi/313766/.

[15] La fonte dei dati esposti nel testo è https://www.worldometers.info/coronavirus/worldwide-graphs/#countries-cases.

[16] Nel frattempo gli studiosi di politiche sanitarie si affettano a pubblicare le prime speculazioni, dalle quali per la verità non sembra possa ricavarsi alcuna indicazione dirimente, se non il riscontro circa «the low number of ventilators in Italy and France», così F. Amer et al., Assessment of Countries’ Preparedness and Lockdown Effectiveness in Fighting COVID-19, in Disaster Medicine and Public Health Preparedness, 24 June 2020, Published online by Cambridge University Press, in rete: https://doi.org/10.1017/dmp.2020.217, p. 4.

[17] AA.VV., Survey nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie. Report finale. Aggiornamento 5 maggio 2020, Istituto della Sanità, 2020, in rete: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-survey-rsa, da cui la tabella riprodotta nel testo.

[18] Su tutte queste cifre, per esempio, grava in prospettiva il problema di far coincidere la segnalazione della causa di morte COVID dal punto di vista epidemiologico, con l’accertamento medico legale della causa di morte COVID ai fini di un giudizio risarcitorio mirante a verificare l’idoneità causale della mancata o imperfetta assistenza medica ricevuta dal soggetto a determinare l’evento morte o il quadro patologico irreversibile che ne sia risultato. Come avvertono M.C. Amoretti, E. Lalumera, Covid-19 come causa di morte: una nozione tra fatti e valori, in Questione giustizia, 3 ottobre 2020, in rete: https://www.questionegiustizia.it/articolo/covid-19-come-causa-di-morte-una-nozione-tra-fatti-e-valori?idn=10&idx=691&idlink=6&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=20201003, «affermare che il Covid-19 (A) è causa di morte (B) significa poter sostenere che esiste un meccanismo fisiologico in cui l’infezione da Covid-19 (A) agisce in modo tale da produrre la morte dell’individuo (B). Tuttavia, se la presenza del Covid-19 non è accertata o se esistono altre sequenze causali plausibili che portano ugualmente al decesso, affermare che il Covid-19 (A) è causa di morte (B) significa sostenere che, potendo agire in modo opportuno sull’infezione da Covid-19 (A), è possibile far sì che la morte (B) avvenga più lentamente, o che le altre condizioni patogenetiche dell’individuo erano di più difficile controllo, oppure ancora che, a livello di popolazione, il Covid-19 è la condizione su cui è più importante intervenire».

[19] Si tratta ovviamente di Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Foro it., 2002, p. 769, con nota di P. Laghezza, Inadempimenti ed onere della prova: le Sezioni Unite e la difficile arte del rammendo, commentata fra gli altri da G. Villa, Onere della prova, inadempimento e criteri di razionalità economica, in Riv. dir. civ., 2002, II, p. 707. Va sempre ricordato che quell’assetto fu raggiunto dalle Sezioni unite aderendo al sovvertimento dell’assetto (che precedentemente appariva consolidato) provocato poco prima da un arresto della III sezione dell’epoca, riguardante la responsabilità sanitaria e, nello specifico, un caso di inadempimento relativo alla prestazione del consenso informato del chirurgo estetico: Cass. 23 maggio 2001, n. 7027, in Danno e resp., 2001, p. 1165, con commento di M. Rossetti, I doveri di informazione del chirurgo estetico.

[20] Cass. civ., 11 novembre 2019, n. 28991 e 28992, in Foro it., 2019, I, p. 218 con nota di R. Simone, Ombre e nebbie di San Martino: la causalità materiale nel contenzioso sanitario; commentata altresì da R. Pardolesi, R. Simone, Prova del nesso di causa e obbligazioni di facere professionale: paziente in castigo; G. D’Amico, L’onere della prova della causalità materiale nella responsabilità (contrattuale) medica. Una giurisprudenza in via di “assestamento”; F. Macario, Prova del nesso di causalità (materiale) e responsabilità medica: un pregevole chiarimento sistematico da parte della Cassazione; F. Piraino, Ancora sul nesso di causalità materiale nella responsabilità contrattuale; U. Izzo, In tema di tecnica e politica della responsabilità medica; tutti in R. Pardolesi (a cura di), Responsabilità sanitaria in Cassazione: il nuovo corso tra razionalizzazione e consolidamento, Foro it. – Gli speciali, 2020, n. 1, rispettivamente alle pagine: p. 136, p. 150, p. 162, p. 169, p. 198. Cui adde, senza pretese di esaustività, i commenti di C. Scognamiglio, L’onere della prova circa il nesso di causa nella responsabilità contrattuale del sanitario, in Resp. civ. prev., 2020, pp. 193 ss.; A. Di Majo, La doppia natura della responsabilità del medico, in Giur. it., 2020, pp. 37 ss.; di A. Procida Mirabelli di Lauro, Inadempimento e causalità «materiale»: perseverare diabolicum, in Danno e resp., 2020, pp. 75 ss.; di E. Labella, Il nesso di causalità nelle “obbligazioni di diligenza professionale”, in Europa e dir. priv., 2020, pp. 277 ss.; di N. Rizzo, Inadempimento e danno nella responsabilità medica: causa e conseguenze, in Nuova giur. civ., 2020, pp. 327 ss.; e di P. Frati, R. La Russa, L. Besi, N. Di Fazio, V. Fineschi, Dèka lògous di San Martino 2019, la Suprema Corte detta i principi in tema di responsabilità sanitaria e valutazione del danno, il medico-legale recepisce, in Resp. civ. prev., 2020, pp. 336 ss.

[21] Tutte le sentenze relative ai vari aspetti menzionati trovano pubblicazione e commento da parte di vari autori in Pardolesi, Responsabilità sanitaria in Cassazione: il nuovo corso tra razionalizzazione e consolidamento, cit.

[22] A. Gentili, Una riflessione ed una proposta per la migliore tutela dei soggetti pregiudicati dagli effetti della pandemia, comunicazione sottoposta al Governo nel quadro della legislazione d’emergenza necessaria a fronteggiare le gravi ricadute economiche dell’epidemia in corso, Associazione civilisti italiani, 13 maggio 2020, in rete: https://www.civilistiitaliani.eu/images/notizie/Una_riflessione_ed_una_proposta_per_la_migliore_tutela_dei_soggetti_pregiudicati_dagli_effetti_della_pandemia.pdf.

[23] Tempestivamente sul punto, con un’analisi che nei giorni più cruenti di manifestazione della pandemia valutava negativamente sul piano tecnico le proposte promosse in Parlamento da diverse parti politiche per «immunizzare» in vario modo gli operatori professionali da addebiti di responsabilità, che sublimava nella proposta rivolta ai legislatori di fare propria una norma che imponesse di prendere atto della non imputabilità della causa di inadempimento in base a questo fraseggio: «[C]ostituisce causa non imputabile ai sensi dell’art. 1218 del codice civile la sproporzione tra le risorse disponibili e il numero di pazienti, determinatasi nel corso dell’emergenza epidemiologica COVID-19 di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, che abbia cagionato l’impossibilità di eseguire esattamente la prestazione sanitaria», G. Battarino, E. Scoditti, Decreto-legge n. 18/2020: l’inserimento di norme sulla responsabilità sanitaria, in Questione giustizia, 3 aprile 2020, in rete: https://www.questionegiustizia.it/articolo/decreto-legge-n-182020-l-inserimento-di-norme-sulla-responsabilita-sanitaria_03-04-2020.php. Un’analisi critica più approfondita sulle proposte normative tese ad erigere una sfera di immunità attorno all’operato dei professionisti sanitari impegnati a contrastare gli effetti della prima ondata del COVID è oggi offerta da G. Comandé, La responsabilità sanitaria al tempo del coronavirus … e dopo, in Danno e resp., 2020, p. 297, spec. pp. 303 e ss.

[24] M. Faccioli, Il ruolo dell’art. 2236 c.c. nella responsabilità sanitaria per danni da COVID-19, in La responsabilità medica al tempo del COVID-19, speciale di Responsabilità medica. Diritto e pratica clinica, in rete: http://www.rivistaresponsabilitamedica.it/wp-content/uploads/2020/04/Art.-2236-c.c.-e-Covid-19.pdf, il quale, mentre ritiene che «la novità della patologia e la limitatezza delle conoscenze scientifiche disponibili sul morbo» siano elementi suscettivi di integrare la limitazione della responsabilità a favore dei singoli operatori con riferimento ad addebiti relativi all’erogazione dei processi di cura applicati ai pazienti affetti dal virus, si mostra meno sicuro che questa limitazione possa valere per addebiti aventi oggetto l’errore e il ritardo nelle prestazioni diagnostiche o l’adozione di misure destinate a prevenire il contagio all’interno delle strutture (senza nascondersi però le difficoltà probatorie che in tal caso sorgerebbero per evidenziare l’apporto causale dell’omissione del singolo sulla diffusione del virus all’interno della struttura). Sostanzialmente nello stesso senso G. Ponzanelli, La responsabilità sanitaria e i possibili contenziosi da COVID; G. Facci, COVID-19, medicina delle catastrofi e responsabilità sanitaria; ed E. Bellisario, COVID-19 e (alcune) risposte immunitarie del diritto privato, tutti in Giustizia civile.com, 2020, Emergenza COVID-19, Speciale n. 3, rispettivamente p. 91, spec. p. 98; p. 105, spec. p. 123, spec. p. 128, in rete: http://giustiziacivile.com/system/files/allegati/speciale_covid19_-_n._3.pdf. Sottolinea come l’esonero di cui all’art. 2236 c.c. non possa applicarsi alla perizia, che è sorvegliata da una concezione oggettiva della colpa in campo extracontrattuale, preferendo guardare a una soluzione ermeneutica che valorizzi l’opportunità di valutare in modo omogeneo la colpa extracontrattuale del sanitario e l’inadempimento del contratto di cura (parlando esplicitamente di «colpa contrattuale», che sarebbe poi quella chiamata a governare l’inadempimento della struttura) E. Scoditti, Un’ipotesi di inserimento di norme sulla responsabilità civile sanitaria nella legislazione COVID-19, in Questione giustizia, 10 aprile 2020, in rete: https://www.questionegiustizia.it/articolo/un-ipotesi-di-inserimento-di-norme-sulla-responsabilita-civile-sanitaria-nella-legislazione-covid-19_10-04-2020.php. Emerge in quest’ultimo contributo la propensione ad attribuire rilevanza all’emergenza pandemica sotto il profilo della causa non imputabile ex art. 1218 c.c., trasponendo e mantenendo il proprium di questo tipo di valutazione nell’ambito dell’accertamento della colpa oggettiva del sanitario. Nello stesso senso, soffermandosi sull’attitudine del COVID (per l’assenza di linee guida, per il difetto di risorse di sistema disponibili agli operatori sanitari per contrarlo efficacemente, per la generale tragicità della situazione) ad integrare la «forza irresistibile ed esterna, identificabile nella causa di forza maggiore» che sarebbe sempre valorizzabile applicando la norma di governo della responsabilità del debitore, G. Facci, La medicina delle catastrofi e la responsabilità civile, in Resp. civ. prev., 2020, pp. 706 ss., spec. p. 718. Scettico sulla possibilità di applicare l’art. 2236 c.c. alla fattispecie Pucella, Scelte tragiche, cit. e dilemmi giuridici ai tempi della pandemia, in Nuova giur. civ., 2020, p.24, spec. p.28.

[25] Il quale con altri ricorda la previsione della legge Gelli Bianco che prevede che la quantificazione del danno nell’azione contabile nei confronti dell’esercente la professione sanitaria deve tener conto «delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l’esercente la professione sanitaria ha operato».

[26] In tal senso Pucella, Scelte tragiche, cit., p. 29.

[27] Così, Ponzanelli, La responsabilità sanitaria e i possibili contenziosi, cit., 100.

[28] La stampa, in particolare il Corriere della Sera, dopo averne riferito l’esistenza il 21 aprile 2020, ha in effetti pubblicato l’8 settembre 2020 una notizia più documentata sull’esistenza di questo Piano, consistente in un documento di 40 pagine redatto il 18 febbraio 2020 e formalmente completato 3 giorni dopo, che allo stato il Governo risulta aver secretato, come affermano M. Guerzoni, F. Sarzanini, «Mascherine e terapie intensive». I tre scenari del dossier segreto, in Il Corriere della Sera, 8 settembre 2020, p. 2. Secondo tali fonti giornalistiche il Piano non sarebbe stato pubblicato all’epoca perché descrivente uno scenario previsionale che avrebbe gettato la popolazione nel panico. Ad oggi, ad ogni modo, il testo integrale di questo piano resta secretato, e non risulta pubblicato on-line, salvo che per le due pagine di sommario iniziale, https://www.corriere.it/cronache/20_settembre_08/covid-piano-segreto-governo-pdf-integrale-73e7b272-f133-11ea-9f2b-89b4229fc5bf.shtml.

[29] Osserva Comandé, La responsabilità sanitaria, cit., p. 306, che questa situazione potrebbe giungere a legittimare l’invocazione dello stato di necessità, con l’effetto primario di ricondurre le attese risarcitorie dei danneggiati ai canoni indennitari equitativi previsti dall’art. 2045 c.c., e quello secondario di generare dubbi in ordine alla possibilità che tali indennità possano essere oggetto di considerazione nelle coperture assicurative in essere per professionisti e strutture. L’ipotesi è suggestiva, e meriterebbe approfondimenti non svolgibili in questa sede, salvo notare che probabilmente essa dovrebbe pur sempre fare i conti con la circostanza che l’applicazione dell’esimente presuppone l’integrazione di un illecito cui manchi il carattere dell’ingiustizia del danno, carattere che le circostanze legittimanti l’applicazione dell’esimente sottraggono a una fattispecie di responsabilità altrimenti integrata nella sua pienezza e come tale suscettiva di determinare l’effetto risarcitorio. Quanto dire che lo stato di necessità (con i suoi effetti) sembrerebbe potersi applicare solo dopo aver asseverato in giudizio l’esistenza di una condotta caratterizzata da dolo e colpa, quest’ultima nella caratterizzazione che abbiamo visto essere potenzialmente applicabile al sanitario impegnatosi con mezzi insufficienti e comunque soverchiati dall’emergenza dall’improvvisa ondata pandemica. Contra sull’applicabilità dell’art. 2045 c.c. anche Pucella, Scelte tragiche, cit., p. 28

[30] Così Facci, Covid-19, medicina delle catastrofi e responsabilità sanitaria, cit. p. 109, il quale richiama l’attenzione sul set di raccomandazioni SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva: http://www.siaarti.it/News/COVID19%20-%20documenti%20SIAARTI.aspx) emanate il 6 marzo 2020, recante «Raccomandazioni di etica clinica, per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili», per sottolineare come questo documento (cui forse potrebbe riconoscersi il valore di buone pratiche clinico-assistenziali e non già di linee guida, secondo quanto prevede l’art. 5 della l. 24 del 2017), nel farsi carico di indicare criteri emergenziali per individuare a chi erogare le cure in una situazione nella quale la possibilità di ricevere queste prestazioni appariva una risorsa scarsa, sarebbe di per sé indicativa della sussistenza – almeno nel periodo in cui la raccomandazione veniva emanata – di una condizione emergenziale dalla quale poter inferire la non imputabilità della causa determinante il mancato o imperfetto adempimento delle prestazioni sottese all’obbligazione terapeutica, verificatosi proprio in ragione del temporaneo squilibrio fra necessità di cure e risorse disponibili per attuarle. In senso critico, ritiene condivisibilmente che queste raccomandazioni non integrino le funzioni presupposte dalle raccomandazioni cliniche o dalle linee guida di cui all’art. 5 della l. 24/2017, essendo state poste ad altri fini, Pucella, Scelte tragiche, cit., p. 27.

[31] Così nei giorni più caldi della pandemia (il contributo è stato pubblicato on line il 2 aprile 2020) M. Maggiolo, Una autentica solidarietà sociale come eredità del coronavirus: per una diversa destinazione dei risarcimenti del danno alla salute, in Giustizia civile.com, 2020, Emergenza COVID-19, Speciale n. 1, p. 39, alludendo alle legislazioni di alcuni Stati statunitensi che prevedono, in varie modalità e misure, che una parte dell’importo dei danni punitivi riconosciuto all’attore sia devoluto all’erario statale. Al netto della valenza solo evocativa del raffronto (in quella esperienza si parla, infatti, di una modalità di destinazione dei danni punitivi, e in Italia, nonostante l’ampio dibattito dottrinale che questa figura di danno ha suscitato negli ultimi anni, di danni punitivi sul modello statunitense non è dato parlare a legislazione vigente, v. per tutti P. Trimarchi, Responsabilità civile punitiva?, in Riv. dir. civ., 2020, pp. 687 ss.), si può osservare che negli USA l’esperienza delle c.d. split recovery laws statali, avviatasi negli anni Ottanta con esperimenti progressivamente tentati in varie giurisdizioni statali, ha dovuto fare i conti con diffusi problemi di costituzionalità e con le brusche marce indietro di alcune assemblee legislative che l’avevano in un primo tempo sperimentata, sull’onda di un dibattito dottrinale progressivamente fattosi critico per un’idea, che, dopo l’iniziale attenzione suscitata fra gli anni 80 del secolo scorso e il primo decennio del 2000, oggi appare decisamente recessiva [S.M. Sanders, Uncle Sam and the Partitioning Punitive Problem: A Federal Split-Recovery Statute or a Federal Tax?, in 40 Pepp. L. Rev. pp. 785 ss. (2013); A.F. Daughety, J.F. Reinganum, Found Money? Split-Award Statutes and Settlement of Punitive Damages Cases, in Am. L. & Econ. Rev. pp. 134 ss. (2003); S. Dodson, Assessing the Practicality and Constitutionality of Alaska’s Split-Recovery Punitive Damages Statute, in 49 Duke L.J. pp. 1335 ss. (2000); B. F. Evans, «Split-Recovery» Survives: The Missouri Supreme Court Upholds the State’s Power to Collect One-Half of Punitive Damage Awards, in 63 Mo. L. Rev. pp. 511 ss. (1998). Per inciso, gli Stati che ad oggi mantengono vigente la soluzione sono l’Alaska [Alaska Stat. § 09.17.020(j), dove si prevede che la metà della somma riconosciuta dalla giuria quale danno punitivo sia devoluta a un fondo statale], la Georgia [Ga. Code Ann. § 51-12-5.1(e)(2), dove il 75% della somma al netto dei costi della lite comprensivi di una misura ragionevole di onorari di difesa viene destinata, in base alla determinazione del giudice, all’erario statale], l’Illinois [735 Ill. Comp. Stat. Ann. 5/2-1207, dove al giudice spetta la facoltà di allocare discrezionalmente l’intero importo dei danni punitivi, distribuendolo fra l’attore, il suo avvocato e l’Illinois Department of Human Services], l’Indiana [Ind. Code Ann. § 34-51-3-6(c), dove il 75% dell’importo viene versato al fondo statale per il sostegno alle vittime di reati violenti], l’Iowa [Iowa Code Ann. § 668A.1, dove almeno il 75% dell’importo deve essere versato a un trust destinato a sovvenzionare un «Civil Reparations Trust Fund» amministrato dall’esecutivo, che eroga somme per sovvenzionare il patrocinio degli indigenti], l’Oregon [Or. Rev. Stat. Ann. § 31.735(1), dove si prevede che il 40% della somma vada all’attore (con una somma non superiore alla metà dell’importo destinata all’avvocato della parte) e che il restante 60% vada a un fondo statale per l’assistenza delle vittime di reati, a meno che l’attore sia un soggetto pubblico, il quale in tal caso incamera nel suo patrimonio anche questa porzione del danno], l’Utah [Utah Code Ann. § 78-18-1(3)(a) (2006), ove il 50% dell’importo liquidato quale danno punitive superiore alla somma di 20.000 $, dopo aver soddisfatto i costi di lite dell’attore vada versato all’erario statale]. Come si è ricordato, modelli di split recovery laws sono stati negli anni oggetto di abrogazione in alcune importanti giurisdizioni statali come quelle degli Stati di New York, California, Colorado, Florida e Kansas.

[32] Su cui in prima approssimazione S. Rossi, Linfortunio per Covid-19 del personale sanitario, in Lavoro giur., 2020, pp. 446 ss.

[33] Ha descritto fra i primi i contorni di questi possibili scenari del contenzioso post COVID, Ponzanelli, La responsabilità sanitaria e i possibili contenziosi, cit., pp. 101-103.

[34] Le cronache ricordano che in quel drammatico frangente l’ipotesi poté giovarsi di autorevoli prese di posizione, G. Zagrebelsky, Uno scudo giuridico per i medici, in La Stampa, 2 aprile 2020.

[35] Così recitava l’art. 1-bis, recante: «Disposizioni in materia di responsabilità per eventi dannosi che abbiano trovato causa nella situazione di emergenza da COVID-19», che si voleva inserire del decreto di marzo emergenziale): 1. In ragione della novità ed eccezionalità dell’emergenza sanitaria determinata dal diffondersi del COVID-19, in relazione agli eventi dannosi che in essa abbiano trovato causa, la responsabilità civile delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche o private, e degli esercenti le professioni sanitarie di cui all’articolo 7 della legge 8 marzo 2017, n. 24, è limitata ai casi in cui l’evento dannoso risulta riconducibile a condotte poste in essere con dolo o colpa grave. 2. Ai fini del comma 1, si considera colpa grave quella consistente nella palese e ingiustificata violazione dei principi basilari che disciplinano la professione sanitaria, nonché dei protocolli o programmi predisposti per fronteggiare la situazione di emergenza. La valutazione della gravità della colpa è operata tenendo in considerazione anche la situazione organizzativa e logistica della struttura in relazione alla novità ed eccezionalità del contesto emergenziale, al numero di pazienti su cui è necessario intervenire e alla gravità delle loro condizioni, alla disponibilità di attrezzature e di personale, nonché al livello di esperienza e di specializzazione del singolo operatore. 3. Per i fatti indicati nell’articolo 590-sexies del codice penale che si siano verificati durante l’emergenza epidemiologica di cui al comma 1 o che in essa abbiano trovato causa, la punibilità è limitata ai soli casi di colpa grave. La colpa si considera grave laddove consista nella palese e ingiustificata violazione dei principi basilari che disciplinano la professione sanitaria o dei protocolli o programmi emergenziali eventualmente predisposti per fronteggiare la situazione in essere, tenuto conto di quanto stabilito nell’ultimo periodo del comma 2».

[36] Mostra una singolare consonanza con le riflessioni svolte nel testo la conclusione raggiunta sul tema che a queste ultime fa da sfondo dallo European Law Institute (divulgata da P. Sirena, I principî dello European Law Institute sulla pandemia di COVID-19, in Riv. dir. civ., 2020, pp. 890 ss.), se è vero che il quattordicesimo principio enunciato in quel contesto recita, sotto la rubrica «Esonero da responsabilità per colpa non grave»: «1. – Considerate l’urgenza e la drammaticità delle circostanze in cui i medici, gli operatori sanitari e gli altri professionisti del settore medico si sono trovati a prestare i propri servizi, gli Stati dovrebbero far sì che tali soggetti non siano ritenuti responsabili per eventi avversi correlati al COVID-19, se non in caso di colpa grave. 2. – Ciò vale anche per gli altri professionisti o titolari di pubblici uffici che si siano trovati a prendere decisioni rapide e difficili, direttamente legate alla crisi causata dal COVID-19. 3. – Tali limitazioni della responsabilità non si applicano alla responsabilità dello Stato, il quale resta responsabile secondo lo specifico regime di responsabilità precedentemente previsto».

[37] Per un quadro aggiornato, D. Morana, La tutela della salute fra competenze statali e regionali: indirizzi della giurisprudenza costituzionale e nuovi sviluppi normativi, in www.osservatorioaic.it, 2018, fasc. 1, pp. 107 ss., spec. 110 ss., che sottolinea, con numerosi richiami alla giurisprudenza costituzionale, come la tutela del diritto alla salute identifichi una materia assai più ampia e pregnante di quanti non sia la competenza sull’assistenza sanitaria e ospedaliera, non senza sottolineare il perdurante e apicale ruolo che lo Stato mantiene ed esercita nell’ambito della competenza concorrente, se è vero che «lo Stato diventa poi depositario esclusivo della clausola di “uniformità” per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, comma 2, lett. m), nonché attore in grado di vegliare sulla loro effettività, con l’esercizio del potere sostitutivo (art. 120, comma 2)».

[38] Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282, in Foro it., 2003, I, 394, con nota di richiami di R. Romboli e note di A. Pensovecchio Li Bassi, Sul controllo delle leggi regionali; V. Molaschi, «Livelli essenziali delle prestazioni» e Corte costituzionale: prime osservazioni; A. Gragnani, Principio di precauzione, libertà terapeutica e ripartizione di competenze fra Stato e regioni.

[39] Corte cost., 27 gennaio 2005, n. 36, Giur. costit., 2005, 279; Corte cost., 21 marzo 2007, n. 98, in Giur. costit., 2007, 948; Corte cost., 14 giugno 2007, n. 193, in Giur. costit., 2007, 1871.

[40] Così l’art. 2, comma 1, lett. c) della legge n. 225/1992.

[41] Così la delega di funzioni amministrative qui rilevanti alle regioni in base all’art. 108, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112: «sono attribuite alle regioni le funzioni relative: 1) alla predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, sulla base degli indirizzi nazionali; 2) all’attuazione di interventi urgenti in caso di crisi determinata dal verificarsi o dall’imminenza di eventi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), della legge 24 febbraio 1992, n. 225, avvalendosi anche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; 3) agli indirizzi per la predisposizione dei piani provinciali di emergenza in caso di eventi calamitosi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), della legge n. 225 del 1992; 4) all’attuazione degli interventi necessari per favorire il ritorno alle normali condizioni di vita nelle aree colpite da eventi calamitosi».

[42] Nel decreto venivano scanditi i criteri di massima per la redazione di un piano di emergenza, prevedendo un livello nazionale e un livello regionale, per poi giungere ad interessare ogni livello di competenza degli altri enti locali. Nella sua integralità, il testo è compulsabile on-line: http://www.protezionecivile.gov.it/amministrazione-trasparente/provvedimenti/dettaglio/-/asset_publisher/default/content/decreto-ministeriale-del-13-febbraio-2001-criteri-di-massima-per-i-soccorsi-sanitari-nelle-catastrofi.

[43] Una versione non ufficiale del testo qui riprodotto (così come pubblicato nella G.U. 26 marzo 2002, n. 72) è consultabile on-line: https://www.anmdo.org/wp-content/uploads/2016/10/Piano-italiano-multifase-demergenza-per-una-pandemia-influenzale.pdf.

[44] L’esistenza di questo piano è ricordata anche da G. Grisi, La lezione del Coronavirus, in Jus civile, 2020, pp. 200 ss., spec. p. 200. Le 70 pagine di cui si compone questo secondo piano multilivello di contrasto alle pandemie sono consultabili on-line: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_501_allegato.pdf.

[45] Reg. Lombardia, Delib. C.R. 2 ottobre 2006, n. VIII/216, recante «Piano Pandemico Regionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale secondo le direttive del Ministero della Salute», pubblicata nel B.U. Lombardia 23 ottobre 2006, n. 43, S.S. 24 ottobre 2006, n. 1.

[46] Delib. G.R. 2 aprile 2008, n. 8/6994, pubblicata nel B.U. Lombardia 14 aprile 2008, n. 16.

[47] A. Bono, Emoderivati e HIV: la questione dell’indennizzo, in BMJ (Italian edition), XIII, 1990, p. 161 ss.; F. Merisi, Sulla configurabilità di una responsabilità della pubblica amministrazione nell’esercizio dell’attività di vigilanza. Il caso degli emofilici colpiti dall’AIDS, in Ragiusan, 1990, 70.

[48] Si legga il preambolo della proposta di legge n. 2019 del 19 dicembre 1989, promossa per conto della Fondazione nazionale per l’Emofilia, avente quale primo firmatario il Sen. Corleone, in Riv. it. med. leg., 1990, pp. 991 ss. O il preambolo del progetto di legge n. 4928, presentato il 3 luglio 1990 dal Dep. Caria e altri, in Riv. it. med. leg., 1991, 670.

[49] Così recita l’atto costitutivo del comitato «Noi denunceremo», in rete: https://www.noidenunceremo.it/wp-content/uploads/2020/06/Atto-Costitutivo.pdf.

[50] Dopo aver registrato a fine maggio la convocazione del governatore e dell’assessore alla sanità di regione Lombardia quali persone informate sui fatti nell’ambito della inchiesta condotta dalla procura di Bergamo sull’ospedale di Alzano e sui contagi occorsi nelle RSA della bergamasca, Coronavirus, la procura di Bergamo convoca Fontana e Gallera per le inchieste sui morti nelle Rsa e sull’ospedale di Alzano, in La Repubblica, 27 maggio 2020, in rete: https://milano.repubblica.it/cronaca/2020/05/27/news/coronavirus_rsa_bergamo_alzano_fontana_indagine_procura-257777546/?ref=RHPPTP-BH-I257621558-C12-P4-S4.4-T1, le cronache hanno annotato il deposito delle prime denunce raccolte dal comitato di cui si è fatto cenno presso la procura di Bergamo nel mese di giugno, mentre la presentazione di ulteriori denunce, provenienti da possibili persone offese in tutta Italia, è continuata nei mesi estivi (https://www.ilcittadino.it/stories/Cronaca/morti-per-covid-ancora-denunce-le-famiglie-chiedono-giustizia_58069_96/). Sempre secondo la stampa, procedimenti sono in corso presso altre procure lombarde (v. per es., a Pavia per la situazione determinatasi nelle RSA della provincia, https://tg24.sky.it/milano/2020/07/15/coronavirus-lombardia-indagini-rsa-pavia). Il Presidente del Consiglio Conte e i Ministri Bonafede, Di Maio, Gualtieri, Guerini, Lamorgese e Speranza hanno ricevuto ad agosto una notifica riguardante un avviso ex art. 6, comma 2, legge cost. n. 1/1989 da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma (https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/08/13/avviso-di-garanzia-a-conte-e-sei-ministri-dopo-denunce-per-covid_9c4eea94-c2fa-49ef-9fbd-9d3996ce7beb.html).

[51] Il catalogo di queste ragioni si trova esposto nell’indice di un volume assai noto, con il quale all’inizio di questo millennio si è perorata l’idea che, di fronte alla «crisi mondiale» e alle insidie della globalizzazione, il cluster dei casi affidati alle cure del diritto penale debba collocarsi all’interno di un cerchio più ampio nel quale possa essere (l’auspicio ostentato dall’A. era quello) sempre più la tutela civile a rispondere alle istanze di giustizia delle vittime, F. Stella, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime1, Milano, 2001.

[52] La nuova disciplina prevede che i diritti individuali siano tutelabili sia nel caso di responsabilità contrattuale, sia in tutte le ipotesi di responsabilità extracontrattuale, al di là dei rapporti di consumo, delle pratiche commerciali scorrette o dei comportamenti anticoncorrenziali di produttori e imprese. La nuova procedura potrà pertanto trovare applicazione nei confronti dell’autore della condotta lesiva per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni, quando questa condotta integri un illecito plurioffensivo suscettibili di violare diritti individuali omogenei di più soggetti, riconducibili ad un’unica «classe». Per le prime analisi di una disciplina che, peraltro, prevede che nell’ambito della procedura collettiva «ai fini dell’accertamento della responsabilità del resistente il tribunale può avvalersi di dati statistici e di presunzioni semplici» (art. 5, comma 3, art. 840-quinquies c.p.c.): C. Consolo, La terza edizione della azione di classe è legge ed entra nel c.p.c. Uno sguardo d’insieme ad una amplissima disciplina, in Corr. giur., 2019, pp. 737 ss.; G. Ponzanelli, La nuova class action, in Danno e resp., 2019, pp. 306 ss.; S. Brazzini, P.P. Muià, La nuova class action alla luce della legge 12 aprile 2019, n. 31, Torino, 2019; A.G. Diana, Class action e inibitoria collettiva – Nuova disciplina, Milano-Padova, 2020; AA.VV., La class action riformata, in Giur. it., 2019, pp. 2297 ss.; AA.VV., Le nuove forme di tutela collettiva (l. 12 aprile 2019 n. 31), in Foro it., 2019, V, pp. 321 ss.

[53] Il d.l. 30 dicembre 2019, n. 162 (c.d. decreto «Milleproroghe»), recante «Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica», è stato infatti convertito con modificazioni dalla l. 28 febbraio 2020, n. 8, in G.U. del 29 febbraio 2020, n. 51. Il differimento a 19 mesi dalla entrata in gazzetta ufficiale della legge di riforma è stabilito dall’art. 8 comma 5 del decreto citato.

[54] Per un’analisi intorno ai problemi che una scelta processuale di questo tipo lascia, però, insoluti sia consentito il rinvio a U. Izzo, La responsabilità dello Stato per il contagio di emofilici e politrasfusi: oltre i limiti della responsabilità civile (Nota a A. Roma, 23 ottobre 2000, Min. sanità c. X. e T. Roma, 14 giugno 2001, X. c. Min. sanità), in Danno e resp., 2001, pp. 1067 ss. Sulle modalità attraverso le quali gli attori vittoriosi sull’an della responsabilità dello Stato in quei giudizi abbiano ottenuto dal convenuto soccombente in giudizio l’emanazione di una legge che ha concesso allo studio legale che aveva curato la promozione dell’azione di classe all’italiana cui s’è accennato di poter negoziare una transazione suscettibile di soddisfare ciascuna delle posizioni individuali incise, del cui esito non è rimasta alcuna traccia visibile ai contribuenti italiani che hanno dovuto finanziare quella vera e proprio «transazione legislativa», si consenta ancora una volta il rinvio a U. Izzo, Sangue infetto e responsabilità dello stato (commento alla l. 20 giugno 2003 n. 141), in Danno e resp., 2003, pp. 907 ss.

[55] Se ne era parlato all’epoca del sangue infetto (Izzo, La responsabilità dello stato per il contagio da Hiv ed epatite di emofilici e politrasfusi: i limiti della responsabilità civile, cit.; Izzo, La responsabilità dello Stato per il contagio di emofilici e politrasfusi: oltre i limiti della responsabilità civile, cit.) e se ne riparla oggi con riferimento al tema affrontato in queste pagine, C. Scognamiglio, La pandemia COVID-19, i danni alla salute ed i limiti della responsabilità civile, in Nuova giur. civ., 2020, p. 140. Anche di fronte ai limiti della responsabilità civile sembra propenso a non dar seguito all’ipotesi di mettere a punto strumenti alternativi di taglio legislativo per affrontare la problematica risarcitoria posta dall’impreparazione manifestata dal sistema sanitario nel rispondere al deflagrare della pandemia, Pucella, Scelte tragiche, cit., p. 30. Più possibilista G. Ponzanelli, I danni subiti da COVID-19 tra regole di responsabilità civile e piani no fault, in Nuova giur. civ., 2020, p. 137, spec. p. 138.

[56] Fra i tanti possibili frammenti di questo discorso pubblico se ne sceglie uno proveniente dal Paese che ha dato i natali al principio di solidarietà nella Modernità giuridica, L. Joffrin, L’enfer, c’est les autres?, in Liberation 17 marzo 2020, in rete: https://www.liberation.fr/politiques/2020/03/17/l-enfer-c-est-les-autres_1782077. In letteratura, nel verificare in che misura l’innovazione giuridica che l’avvento del COVID sembra oggi richiedere di attuare in via legislativa sia destinata a sopravvivere alla fine dell’emergenza, si è giunti ad evocare provocatoriamente la legislazione che accompagnò l’Italia impegnata nel primo conflitto mondiale, G. D’Amico, Lepidemia COVID-19 e la «legislazione di guerra», in Contratti, 2020, pp. 263 ss.

[57] La storia che condusse all’emanazione della l. 210/1992 è rievocata in dettaglio in Izzo, Blood, Bureaucracy and Law, cit. Se è vero che la prima causa che condusse al procedimento collettivo noto come «EmoRoma 1» su cui il Tribunale di Roma si pronunciò nel novembre 1998 fu radicata nel 1993, non consta che tale normativa sia stata emanata quando il contenzioso relativo allo scandalo del sangue infetto era ormai arrivato «a limiti importanti in termini quantitativi», come sostenuto invece da Ponzanelli, La responsabilità civile al tempo, cit., p. 427.

[58] Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 584, in Foro it., 2008, I, 451. In una critica sistematica alle argomentazioni usate dalle Sezioni unite nel 2008 nell’accogliere la corretta soluzione del divieto di cumulo, anche alla luce delle più mature consapevolezze raggiunte in tema di compensatio lucri cum damno dalla giurisprudenza di legittimità nel maggio 2018 (Cass., sez. un., 22 maggio 2018, nn. 12564, 12565, 12566, 12567) si sono messe a nudo le ragioni che inducono a giustificare la soluzione raggiunta dai giudici di legittimità nel 2008 sul diverso rilievo che i benefici contemplati dalla legge 210/1992 possiedano in realtà una finalità intrinsecamente risarcitoria e come tali abbiano motivo di defalcare il risarcimento del danno conseguito da soggetti già indennizzati perché «danneggiati da complicazioni di tipo irreversibile a causa di trasfusioni e somministrazione di emoderivati». Una conclusione che si impone «non solo perché (…) l’iter legislativo della norma attributiva del beneficio rivela retrospettivamente come il fondamento dell’intervento dello Stato nel 1992 non fosse affatto fondato su canoni di solidarietà, ma fosse sollecitato dalla necessità di sovvenzionare una categoria ben definita di soggetti rimasta vittima di un danno iatrogeno ritenuto all’epoca di difficile giustiziabilità (anche per l’estrema difficoltà di agire in giudizio contro i soggetti che avrebbero potuto risponderne sul piano civile). Ma perché il riconoscimento del beneficio accordato dal legislatore non è stato configurato in termini tali da essere subordinato all’esistenza di uno stato di bisogno legato alla mera contrazione di uno stato patologico lesivo dell’integrità fisica della persona. Esso, al contrario, è stato vincolato alla circostanza di aver contratto una patologia di cui sia chiaramente accertata la derivazione eziologica dalla somministrazione di prodotti emoderivati o trasfusioni. Si tratta, in altre parole, di un indennizzo giustificato non dal verificarsi di uno stato di bisogno al quale sovvenire per ragioni di solidarietà sociale, ma dalla volontà di far fronte a un particolare, specifico tipo di evento lesivo, causalmente tipizzato ed accertato, che abbia determinato in una classe di soggetti attentamente individuata dalla legge attributiva del ristoro, un vulnus all’integrità fisica legato all’insorgere di complicanze irreversibili apprezzabili sul piano medico-legale in connessione a una particolare eziologia del fenomeno invalidante. Si tratta, quindi, di uno spostamento di ricchezza che consegue alla verifica che il destinatario abbia sofferto una lesione alla persona suscettibile di definirsi «a eziologia tipizzata». È in quest’ottica che si spiega perché il risarcimento conseguente a un illecito, che abbia fra i suoi presupposti il puntuale riscontro della derivazione causale del danno dalla somministrazione di prodotti emoderivati o trasfusioni, non ammette la possibilità di cumulare questo risarcimento con lo spostamento di ricchezza predisposto dallo Stato, in assenza di qualsiasi indice che permetta di sostenere che i beneficiari percepiscano l’indennizzo dopo aver contribuito a sovvenzionare la provvista di questo spostamento di ricchezza con proprio sacrificio, e dunque infondendo a tale spostamento una causa autonoma, idonea a sorreggerne l’approdo nel patrimonio di destinazione. E senza che in questo ragionamento possa assumere rilievo alcuno la circostanza, puramente nominalistica, che l’attribuzione patrimoniale sia definita in termini indennitari», così U. Izzo, sub art. 1223 c.c., in Commentario della responsabilità civile a cura di E. Navarretta, Milano, 2020 (in corso di pubblicazione).

[59] La legge 20 giugno 2003, n. 14, recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 aprile 2003, n. 89, recante proroga dei termini relativi all’attività professionale dei medici e finanziamento di particolari terapie oncologiche ed ematiche, nonché delle transazioni con soggetti danneggiati da emoderivati infetti» si limitò a statuire sull’allocazione di risorse pubbliche per un importo pari a quasi 300 milioni di euro nel modo previsto all’art. 3, come segue. «1. Per le transazioni da stipulare con soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti, che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, è autorizzata la spesa di novantotto milioni e cinquecentomila euro per l’anno 2003 e di centonovantotto milioni e cinquecentomila euro, per ciascuno degli anni 2004 e 2005. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della salute. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. 2. Con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono fissati i criteri in base ai quali sono definite le transazioni di cui al comma 1 e, comunque, nell’ambito delle predette autorizzazioni anche sulla base delle conclusioni cui è pervenuto il gruppo tecnico istituito con decreto del Ministro della salute 13 marzo 2002».

[60] Per quanto complessi da affrontare, questi problemi sono concretamente risolvibili. C’è da dubitare che lo siano, invece, i problemi che si stagliano di fronte alla proposta recentemente articolata, prendendosi una decisa licenza onirica dal confronto con la realtà della geopolitica mondiale, da uno scholar israeliano, R. Perry, Who Should Be Liable for the Covid-19 Outbreak?, in SSRN, 2020 (forthcoming in the Harvard Journal of Legislation), in rete: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3697283, p. 57, il quale, dopo aver analiticamente esplorato le ragioni che sembrerebbero ostare alla possibilità di reagire al danno da contagio del COVID impiegando in ogni possibile scenario risarcitorio l’armamentario della tort law statunitense, propone un modello fondato su un fondo di compensazione a base legislativa che dovrebbe basarsi su premesse articolate come segue, che non sembrano meritare ulteriori commenti. «Based on the weaknesses of the current tort-based model and the alternative models considered, a hybrid framework may be devised. The first component of this model is an international strict liability regime inspired by the international framework for the compensation of victims of nuclear incidents. The international community should negotiate a treaty that imposes strict, limited, and exclusive liability on the country-of-origin of an international outbreak of infectious disease» (ivi, p. 56).

[61] Sembra condividere questo auspicio, pur comprimendolo in pillole, Comandé, La responsabilità sanitaria, cit., p. 308.